domenica 27 settembre 2009

17 giugno PORTO - AVEIRO

Taccuini di viaggio

Ancora in viaggio, perché non ha mai fine, perché è la nostra condizione, se siamo vivi...
Sono nudo, disteso su un letto da prete nella stanza 320 dell'albergo Arcada di Aveiro (P), ma la temperatura dell'aria è identica a quella di Bologna, a casa di Carlo, ieri sera: 28°C.
Sono le 20 ora locale; in Italia sono le 21. Decido di togliermi un pensiero, più che un pensiero, una promessa: telefono a casa. O meglio, ci provo. Odio i telefoni e le telefonate. Le chiamate internazionali poi sono sempre un rebus da risolvere poco alla volta, provando e riprovando; ogni Paese ha la sua combinazione e ci vorrebbe la mano ferrata dello scassinatore!
La finestra della camera da' su una piazzetta affacciata sul Canal Central. Il sole è ancora impossibile guardarlo fisso; la sua luce ancora calda. Sono da poco terminate le strombazzate e i cortei d'auto, perché il Portogallo ha battuto la Romania agli europei di calcio... la TV manda Germania - Inghilterra, mentre la mia testa riepiloga la lunga giornata che mi ha portato fin qua (e ancora non finita, se il sole non si decide...).

Il viaggio è stato abbastanza noioso: viaggiare in aereo eccita la prima volta, poi le altre stanca. Almeno sono stato abbastanza in orario. Atterrato a Porto (non mi piace la dizione Oporto, che non usa quasi nessuno) ho cambiato 400$ in escudos, poi ho ritirato l'auto, con i soliti problemi di lingua e di eccessiva burocrazia tipica dell'Europcar. Mi sono messo alla guida della Clio Renault 1.2 NR blu diplomatico nuova-nuova. Il problema serio, visto le condizioni meteo, è che l'A.C. non funziona o non c'è, ossia c'è solo la spia (mi torna in mente un viaggio in puglia su una Daewoo su cui avevano "dimenticato" di montarla).
Nella stanza il termometro è sceso a 27,5°C, mi torna il buonumore, riprovo a chiamare casa. Ancora buca. Per schiantarla decido di combinare una triangolazione telefonica che riesce al primo colpo. Anche questa è fatta!

Il racconto della giornata è meglio interromperlo e pensare di trovare un posto per mettere qualcosa nello stomaco. Oggi ho mangiato solo panini elastici, tramezzini plastificati e brioche surgelate...
Ma gli inconvenienti dei viaggi sono numerosi e si accaniscono sul viaggiatore: per dire che ho lasciato la chiave del lucchetto della valigia in auto (bella idea quella del lucchetto... quella di lasciare la chiave in auto è solo una dimenticanza). Morale: devo rimettermi i panni umidi, dopo un bagno rigenerante.

Fuori adesso è fresco e questo m'invita al passeggio. C'è il vecchio quartiere (stanno risistemando tutte le pavimentazioni in pavé) e il nuovo centro commerciale eseguito con maestria dagli architetti. D'accordo, si capisce subito che non c'è poesia, che si tratta di prosa, ma di una prosa d'ottimo livello. Del resto mischiare poesia e commercio credo sia come riuscire a mescolare acqua e olio.
E' in corso una fiera del libro con la partecipazione di molti editori locali; anche qua tanti scrittori e pochi lettori? Molta gioventù che gira sfaccendata, rinfrescandosi dopo una lunga e calda giornata di lavoro. Visito tutto il centro, la galleria ricorda quella dell'expo di Lisbona (ma con più economia); salgo anche sul tetto-terrazzo adattato a giardino pensile e assisto allo spegnersi di ogni colore in cielo.

Ceno al ristorante Ferro; un locale per i locali, con arredo levigato dal tempo, lavabo contro un muro della sala, camerieri sudati e spicci, piatti espressi e semplici. Ai tavoli sembra di vedere amici al rituale della cena settimanale, prima tappa di un lungo sabato sera; solo qualche tavolo è occupato da scompagnati tuffati nel giornale o coi pensieri appesi alla sigaretta. Sintetizzando una cena abbondante ed economica.
Uscendo vedo tanti ragazzi che riempiono piazze e strade (Aveiro è sede universitaria e forse sono studenti o gli sfaccendati di prima), ma il sonno è tanto e il vino bianco fa il resto.
Queste note sono, in realtà, riprese la mattina dopo, quando il cielo è indeciso tra l'azzurro e il grigio.

Ero rimasto all'A.C. che non va'.
Anche il traffico e la segnaletica non vanno: volevo circumnavigare Porto ed invece ci sono finito dentro. Ho visto pure l'hotel Dom Henrique dove pernotterò alla fine del mese. Ovviamente passo e punto a sud, ma perdo tempo negli ingorghi e arrivo con qualche ritardo sulla tabella di marcia (dettaglio che non riesco ancora a trascurare...) a S.ta Maria da Feira. Decido di fermarmi solo se troverò un posto all'ombra; per fortuna lo trovo. Dal 10 al 20 c'è una rievocazione storica medievale, con tanto di bancarelle che vendono stoffe, ricami, insaccati, miele e marmellate e con abitanti mascherati da ipotetici e patetici avi.
Vado al castello, che di medievale ha ben poco, ma è nel bel mezzo di un fitto e fresco parco. Faccio un giretto per le contrade, ma il caldo è insopportabile e penso bene di continuare l'itinerario odierno, verso Ovar.

Qui faccio spesa in un alimentari (acqua, te e biscotti), dove godo pure dell'A.C. che qui funziona; poi cerco, con una costanza che meriterebbe miglior sorte, il museo tanto decantato da Saramago; lo trovo finalmente dopo tanta fatica, ma è chiuso per restauri strutturali, niente meno!
La cittadina è deserta, dai bar escono gli effetti della partita tra portoghesi e rumeni, l'aria calda forma quasi un muro sbrecciato, le auto sono degli oggetti immobili e roventi; mi pare di tornare bambino, ai mondiali messicani...

Ancora a sud verso Aveiro, dove arrivo e già mi perdo. Dall'autostrada, che vorrebbe portarmi a Lisboa, vedo, oltre la palude, il campus universitario che visitai qualche anno fa', ancora in costruzione: riconosco la biblioteca e il serbatoio dell'acqua di Siza e l'istituto di Souto de Moura. Riuscirò a farci un salto domani (cioè oggi)? Sbatto contro l'hotel che mi suggeriva la guida Mondadori e siamo da capo: il quotidiano dovere di viaggiatore è fatto.

sabato 26 settembre 2009

Taccuini di viaggio



Tra le mie disordinate carte ho ritrovato tracce, quasi illeggibili allo stesso autore, di vecchi taccuini di viaggio su cui appuntavo i miei pensieri e considerazioni di viaggiatore. Fanno parte di uno dei tanti progetti rimasti tali.

Parto da alcune giornate trascritte quando ancora non era passato tanto tempo dalla stesura e quindi il lavoro era ancora possibile senza eccessiva fatica, e ora rimpiango di non aver completato il lavoro. Sono alcune giornate di un viaggio in Portogallo nel 2000 seguendo alcuni degli itinerari tracciati da José Saramago nel suo Viagem in Portogal, dove mi diverto anche, immodestamente, a fargli il verso, cercando di imitare la sua dolce vena umoristica (il Viaggiatore di qua, il viaggiatore di la...). A proposito, scritto con la lettera maiuscola si riferisce al Maestro, con la minuscola all'autore.
In questa scelta sono stato stimolato anche da un amico Facebook, Daniele Lugaresi, che, appena tornato dal Portogallo, ha condiviso una bellissima serie di scatti fotografici che mi hanno riportato con la mente a quei giorni e a questi scritti dimenticati...

Ci sarà un seguito con gli altri viaggi: Spagna, Israele, Libia, India, Messico e Guatemala, Bretagna e Castelli della Loira, Napoli, Tunisia, Piccole Antille, Praga e Budapest, ecc.?
Dipende da tante cose, così come tutta l'impostazione di questo blog... soprattutto dalle sollecitazioni dei lettori.
Iniziamo!

domenica 20 settembre 2009

Mare d'inverno (finale)

Racconti dell'Adriatico

Ma attorno è tutto nero, il muro, il soffitto, la stanza, fuori, tutto è silenzio, la musica é finita, solo la ventola del proiettore manda un leggero fruscio. Spengo l’interruttore. C’è un attimo di niente. Il cuore batte, gli occhi pizzicano, lo stomaco è vuoto. E’ come tornare da un lungo viaggio nello spazio e nel tempo. Tornare a casa è sempre tremendo! Dopo avere allargato gli orizzonti, visto nuove cose, incontrato persone diverse, provato diversi modi di vivere, tornare tra quattro muri, in spazi angusti, riprendere il solito ritmo; il fluire lento degli eventi prende il sopravvento sulla volontà della persona, la tensione cala, i ricordi si fanno rimpianto. Avendo a disposizione il mondo, si finisce per vivere in un puntino sulla carta geografica, uno scoglio roccioso da dove si vedono le stesse albe e gli stessi tramonti; dei miliardi di persone se ne conoscono forse mille, veramente bene solo alcune o forse nessuna, neppure se stessi; l’ignoranza dell’altro crea la paura, genera l’odio. Il “villaggio globale” esiste solo sulle autostrade informatiche, è popolato da bit, byte, file, package, onde elettromagnetiche e non da persone o cose concrete: una realtà virtuale come un mondo parallelo che non si può toccare, vivere, ma solo vedere.
Cerco a tastoni la porta del terrazzo, finalmente la trovo, la apro. Si è fatto notte ed è ancora pomeriggio. Il cielo è stellato ed una grossa falce di luna ne illumina una parte nascondendo le stelle, altre luci al cromo formano lunghe stelle filanti in lontananza, una vasta zona resta al buio. A poco a poco l’occhio si abitua alla notte e vede meglio, vedi di più. Nel fondovalle c’è ancora la nebbia, non più bianca, ma grigio scuro, quasi blu, se non fosse per le onde messe in evidenza dalla luna gigante. Sul mare di nebbia la luna si comporta in modo inverso al mare d’acqua: il livello della nebbia ora è calato come in una bassa marea, ma la materia si è fatta più densa, impenetrabile.
Giro le spalle al mare e guardo la Città, col suo chiarore giallognolo, non dovuto alla luna ma a qualche strana malattia; le torri difensive, i tetti di coppi, le finestre accese, i muri rugosi, i lampioni firmati; la vicinanza fa apparire tutto piatto, senza spessore come certi scenari mobili in libri illustrati per bambini, un paese incantato, muto, tanto lontano dal fervore e dal chiasso dalla vita. Come è importante il punto di vista da cui si guardano le cose! Il fotografo di qualche anno fa per uccidere la noia di un giorno festivo si aggirava sulla spiaggia, tra i capanni, affondando le scarpe nella sabbia umida e rubava qua e là delle immagini, catturava dei momenti, lasciandosi portare dall’istinto, guidare dai tempi di otturazione e dall’apertura del diaframma. Lo spettatore di oggi, in preda ad una forza misteriosa, succhia queste immagini sul muro in rapida successione come in una galleria, ha una visione complessiva, può tornare facilmente indietro, confrontare, misurare, criticare. I due non vedono la stessa cosa: il rosso può diventare rosa, il verde blu, l’inverno estate, la tristezza allegria, il banale sublime e viceversa. Dal Cantone oggi sembrava di essere sul terrazzo di un faro, il sole era la grande lampada che illuminava il mare di cotone, nel grande mare si scrutavano imbarcazioni da salvare e sembrava di godere di chissà quale privilegio rispetto a chi stava sotto e nuotava alla deriva. Ora, da sotto, questo faro non pare così solido, così sicuro e non sembra indicare alcuna via al naufrago, tanto che è preferibile lasciarsi andare alla leggera corrente, piacevole lasciarsi trasportare dalle onde verso l’ignoto.
Chissà come appare ora dall’altra parte del mare, dalla terra di Marino, questo scoglio, il monte di Marino: la sagoma del Titanic in crociera straordinaria, in mezzo al fumo di questo vapore, tutte le luci accese, la musica dell’orchestra che ci accompagna, tutto sembra in festa con questi nuovi ritmi americani, il mare è calmo e non lascia supporre tempeste, per questa nera, nera nave che mi dicono che non può affondare...5



5 saccheggiando da TITANIC di Francesco de Gregori.

mercoledì 16 settembre 2009

message in a bottle


Mare d'inverno

La slide è bruciata dalla luce per metà, quella alta. E’ l’ultima. In basso si vede una bottiglia di vetro, conteneva alcolici, ora è vuota, ma ha ancora il tappo di plastica avvitato. A fianco un limone rinsecchito. Verrebbe voglia di lanciarla nel mare accecante di luce, nel fuoco della vita, di affidare un messaggio disperato a questo piccolo pezzo di vetro, un puntino nel mare, un onda nello spazio cosmico...
Just a castaway
An island lost at sea
Another lonely day
No-one here but me
More loneliness
Than any man could bear
Rescue me before I fall into despair
I’ll send an SOS to the world I’ll send an SOS to the world I’ll send an SOS to the world
I hope that someone gets my I hope that someone gets my
Message in a bottle4


4 from MESSAGE IN A BOTTLE by Sting

venerdì 11 settembre 2009

disco giallo 71

Mare d'inverno

Biciclette appoggiate al verde pastello di una cabina di cemento; lei si chiama pazzaglia, di lui si vede appena la ruota posteriore. Ora saranno sulla spiaggia, mano nella mano, guarderanno rincorrersi gli aquiloni, i loro occhi percorreranno le sfumature dell’anima, si bagneranno i piedi nell’acqua gelida, lei raccoglierà una conchiglia strana e la metterà in una tasca della gonna... Al ritorno si fermeranno dietro un capanno e si scambieranno affetto, amore e sesso, ciascuno secondo ciò che sente; sarà la prima volta o l’ultima, la più bella o la più tremenda. La ricorderanno. Resterà la conchiglia rara, il volteggio libero degli aquiloni e il capanno verderame con un disco giallo cromo che racchiude il 71 nero da puntare sulla roulette di un prossimo incontro.

venerdì 4 settembre 2009

relax

Mare d'inverno

Tra due file di capanni, in uno spicchio di luce, un vecchio stravaccato sulla schiena, le mani sotto la nuca, la testa verso l’ultimo sole, i piedi scalzi, i pantaloni arrotolati al ginocchio, una gamba alzata contro la parete di una cabina verde bottiglia, le vene gonfie e violacee, le scarpe da una parte sulle lastre in cemento, ...da una radiolina tuttoilcalciominutoperminuto.

martedì 1 settembre 2009

mascarade

Mare d'inverno

Sfilata in maschera di capanni protetti dalla sabbia e dalla salsedine con teli prendisole in plastica variopinta: tetti a capanna, trabeazione e colonne, ...tempio del sole. Buffonata, ridicolo, carnevalata che può essere più bella del vero, del serio, del normale. Felicità, allegria fatta di colori, fatta di niente.