mercoledì 1 dicembre 2010

INSULA 13

Casa unifamiliare di circa 100 metriquadrati con garage, cortile, giardino pensile e solarium; tutto all'interno di un parallelepipedo di base quadrata in mattoni. Il progetto è pensato come cellula base di un quartiere residenziale; tre lati liberi (su tre tipi di viabilità: scorrimento veloce, distribuzione meccanica e pista ciclabile/pedonale), uno addossato ad un'altra cellula.

Fronte sulla viabilità di scorrimento veloce

Fronte sulla viabilità di distribuzione meccanica

Ingresso sulla strada principale

Ingresso posteriore attraverso il giardino

Fronte sulla pista ciclabile e percorso pedonale

Il cortile

la zona giorno

la zona notte

il grande arco (unica grande apertura dell'abitazione)

Il giardino pensile

L'ingresso e soggiorno

Il pranzo e la cucina

sabato 6 novembre 2010

SOCI (o prova dell'applicazione IDX Renditioner Express)

Seguendo il consiglio del sito HarwooPodcast ho voluto provare l'applicazione IDX Renditioner Express anche se, per l'hardware a mia disposizione, i tempi di risposta sono un poco lunghi...
Ovviamente devo ancora far pratica, ma questi sono i primi risultati, che per una versione gratuita, non sono male no?





Dimenticavo... il progetto riguarda una casa per le vacanze sul mare Nero.

giovedì 19 agosto 2010

NAVE 1-2-1

Un terreno in forte pendenza, lungo e stretto, con accesso dall'alto. Ai lati grossi edifici ad appartamenti: unico affaccio gradevole a sud verso valle, in lontananza il mare. Una famiglia con due bambini piccoli; il capofamiglia necessita di lavorare, saltuariamente, a casa e ricevere persone...

... i viaggi, il mare, la natura e la buona tavola.

martedì 18 maggio 2010

SPINA

Cambia il vento... basta parole, anzi solo una SketchUp!






domenica 21 febbraio 2010

L'abito non fa il monaco, ma ripara dal freddo (3p.)



Ugo riuscì a fatica a controllare le codate della trota, il cuore gli batteva a mille e nella convulsione del momento imbarcò una discreta quantità d’acqua negli stivali e stava quasi per scivolare su un ciottolo ricoperto di muschio, ma riuscì in qualche modo a riguadagnare la riva con la trota ancora all’amo. Poi la esaminò attentamente, (Accidenti, era veramente una grossa trota!) ma la sua faccia subito si oscurò vedendo in quale maniera si era attorcigliato il filo e chissà dove era sceso l’amo...

Seccato scaraventò canna e trota nel greto secco del fiume e si sedette su quel letto di pietre.

Si tolse gli stivali a fatica, le calze di lana erano zuppe, i piedi nodosi erano gelati e raggrinziti come la pelle di un vecchio. Erano rossastri come ciliege acerbe, mentre la pelle sotto le unghie e sopra le ossa era biancastra ed il tutto sembrava carne in mostra dal beccaio.

Si frugò nelle tasche ed estrasse lo scaldamani catalitico, era ancora carico, il contatto con le mani era piacevole. Poi accostò le piante dei piedi una contro l’altra provocando uno scricchiolio alle ginocchia e sentendo un forte dolore all’inguine, si mise quell’arnese caldo tra i piedi con lo stesso gusto con cui si mette una fetta di prosciutto tra due pezzi di pane fresco e tenendosi i ditoni con una mano, strizzando le calze con l’altra, restò cosi immobile finche sentì il sangue riscorrergli nelle vene violastre e sporgenti dei piedi. Tirò allora un profondo sospiro di sollievo.

In quell’istante di beatitudine Ugo andò col pensiero alla figura nera in controluce che aveva visto sul treno incorniciata dal finestrino come un quadro futurista o un ombra cinese.

Al passaggio del convoglio era rimasto incuriosito dal fatto che si fosse fermato proprio lì sopra: non era mai capitato; allora era subito sceso dalla pila per vedere cosa stava succedendo. Trovando una scena tranquilla, riprese la sua pesca ma ogni tanto tuttavia lo sguardo si posava su quel treno, quelle carrozze ferroviarie di legno laccato di bianco e di azzurro, gli sbuffi insofferenti della caldaia e soprattutto a quel finestrino in cui si vedeva più agitazione: figure di muovevano passando da una posizione all’altra, si incrociavano, si compenetravano, si fermavano viso a viso, passavano oltre ad altre finestre. Infine tutto tornò calmo, fermo, immobile. Solo una nera figura di donna si era sporta dal finestrino, un esile raggio di sole riuscì a mettere in luce solo un nero fazzoletto attorno alla testa, pure nera poiché in ombra.

La sosta si prolungava ed Ugo si sentiva infastidito da quella macchina a vapore che era venuta a rompere la sua pace, pensava che non c’era più posto dove fuggire, ma si trovava sempre più spesso attirato da quel finestrino, attratto da quella sagoma snella, ma possente, da quella donna sfuggente, né giovane né vecchia, né bella né brutta, né mora né bionda: nera!

Alternava lo sguardo tra il riverbero tremolante delle acque e il cangiante contorno nero dell’ombra rinchiusa nel finestrino come volute di fumo o lingue di fiamma. Ed il cuore si scaldò. Ripensò allora alla sua solitudine, alla sua incapacità di trattare con le donne, alle sue indecisioni, ai suoi ripensamenti, alle occasioni mancate... Contandole ora trovava che le avventure non erano state poche, ma per l’appunto erano rimaste solo avventure, storie senza spessore; tutto procedeva bene fintanto che la cosa rimaneva superficiale, non impegnativa, ma non appena vi era un accenno di approfondimento, la nascita di legami, di proposte per l’avvenire, di progetti anche semplici, Ugo perdeva la sua sicurezza, la sua calma, la sua pace.

La conoscenza vera di una donna, da accettare in blocco, pregi e difetti, mani e piedi, carne e spirito, passato e futuro, lo bloccava, lo spaventava fino a sentire i brividi sulla schiena e un freddo desolante in petto. Anche le forme sinuose ed abbondanti del corpo di lei, la sua pelle vellutata, il tal particolare eccitante ed irresistibile diventavano secondari, poi col tempo del tutto indifferenti come quelli di una statua di pietra di perfetta e subdola bellezza. Prendevano corpo invece quelle caratteristiche invisibili e impalpabili che sono il vero aspetto delle persone, prima sfumate e promettenti, poi chiare e contrastanti, infine nette ed immodificabili, inconciliabili coi desideri.

Così se ne erano andate dalla sua mente, e dalla sua vita, tutte le sue donne, così erano finite tutte le sue storie, lasciando solo in esile e serpeggiante traccia. E fosse stato solo con le donne! Nello stesso modo era finita con la famiglia, gli amici, i compagni del movimento, i colleghi di lavoro...

Ugo non voleva essere esplorato, sondato nel profondo da trivellazioni esterne; la conversazione su se stesso lo rendeva più nudo di quanto possa fare la nudità fisica che aveva invece sempre accettato con straordinaria naturalezza, il parlare delle proprie sensazioni lo rendeva vergognoso più di qualsiasi atto immorale che pur non essendo incline a compiere era ben disposto a perdonare, a comprendere. Era anche per questo che non aveva alcun interesse a trivellare gli altri, nessuna voglia di scoprire tesori sepolti, vene segrete o fiumi sotterranei.

Gli ambienti chiusi, angusti, bui, gli avevano sempre dato un forte fastidio fisico, le grotte erano state il suo terrore di bambino. Preferiva restare in superficie, alla luce, sotto la volta celeste.

Di questa superficie preferiva poi quella meno rimaneggiata dall’uomo, la natura incontaminata che da bambino aveva avuto a portata di mano e poi con gli anni dovette iniziare a cercarla sempre più lontano, sempre più disperatamente.

La montagna, il bosco, il ruscello, la pesca derivavano da tutto questo. Ma un altro fatto giustificava la scelta della pesca al posto di un altra attività come ad esempio il cercar funghi, l’arrampicarsi sulle alte vette, il camminare semplicemente per il gusto di farlo: l’amore per il rito.

La vita programmata, senza sorprese, che si dipana secondo un calendario minuziosamente predeterminato e a cui non sfugge neppure l’azione più stupida, il gesto più banale riscuoteva su di lui un fascino irresistibile, ipnotico. La pesca era un rito o meglio la pesca di Ugo era un rito: nulla era lasciato al caso o all’imprevisto, l’importante non era prendere il pesce, ma svolgere, esattamente come si era pensato, ogni singola azione nel migliore dei modi possibile e nel dovuto ordine temporale senza dimenticare nulla. Durante il rito il tempo passava a velocità elevatissima, tanto più elevata quanto più i gesti si facevano lenti ed i pensieri erano leggeri e pacati. La pesca era un rito positivo perché non era imposto da altri, ma scelto da chi lo officiava; lo stupido lavoro di operaio era un rito negativo perché veniva elaborato dal padrone e subito da Ugo che lo doveva svolgere, anzi vi doveva assistere, senza poter essere cosciente della più piccola fase o attività particolare. Comunque anche questo stupido lavoro rituale era sempre meglio dell’improvvisazione, dell’insensatezza, del caos della vita moderna.

Ad un certo momento l’ombra nera si voltò di fianco e Ugo vide per un attimo le linee flessuose di quel corpo stagliarsi come orizzonti lontani nella luce del finestrino; la donna si era confusa con la natura. Fu un attimo, poi i contorni ripresero una forma tozza e anonima finché scomparve quasi dalla vista; rimase solo una pallina avvolta da un fazzoletto.

Ugo provò a pensare a chi appartenesse quell’ombra, chi era la donna che l’indossava, ma questo era un esercizio tutt’altro che rituale, richiedeva invece notevoli doti di analisi, di intuito, di fantasia; ma questo non era il fatto più preoccupante: il difficile era non avere il minimo riferimento, il più incerto tracciato da seguire che non fosse quell’ombra nera che cambiava forma ogni secondo.

Ben presto Ugo esausto pensò ad altro, al fatto che proprio questo pensare, questi pensieri non facevano parte del rito della pesca, erano un imprevisto, come lo era la sosta del treno sul ponte, come lo era in fondo anche la cattura della trota.

Ad un tratto si girò e guardando il pesce si stupì nell’avvertire che le branchie si gonfiavano e si sgonfiavano con lo stesso ritmo con cui lavoravano i suoi polmoni ancora in debito di ossigeno dopo lo sforzo imprevisto; dalla bocca della trota usciva un sottilissimo filo, dalla sua una lieve bava di fiato.

Improvvisamente la trota diede un ultimo colpo di coda e poi rimase immobile, grigia e opaca come tanti altri innumerevoli sassi.

Il sole cominciava già a scendere tra le cime del bosco vecchio.

domenica 7 febbraio 2010

L'abito non fa il monaco, ma ripara dal freddo (2a parte)



Gli occhi grigioverdi di una donna guardavano dal finestrino sporco il verde circostante. Nel vagone c’era aria di chiuso, i tendaggi polverosi e la stufa tirata a mille rendevano l’aria irrespirabile. Forse per questo, forse perché era una bella giornata, forse perché in quel punto la ferrovia saliva a mezzacosta ed offriva un panorama meraviglioso (ma perché poi si deve sempre trovare un perché?), la donna aprì il finestrino, respirò profondamente, appoggiò le braccia al telaio di ferro, i gomiti appuntiti sbiadirono il golfino primaverile, il petto schiacciato contro il vetro freddo, lo sguardo verso quella meraviglia. Dunque i suoi occhioni grigioverdi con lunghe ciglia castano chiaro, colore dei ricci di castagne secche, roteavano, zigzagavano puntando qua e là mentre il treno correva. Correva, ma non troppo, poiché la salita era impegnativa. Come due mosche chiuse in un barattolo di vetro queste palle grigioverdi schizzavano secondo traiettorie imprevedibili, ma sempre racchiuse tra le pieghe delle palpebre. A queste traiettorie repentine corrispondevano, come collegate da un gigantesco ed invisibile pantografo, altrettanti punti, oggetti, piante, animali osservati. Tra queste cose ad un certo momento capitò un pescatore che stava pescando in un ruscello e l’immagine non durò, come le altre, pochi secondi poiché il treno arrancava e proprio quando la carrozza della donna dagli occhi grigioverdi racchiusi da due linee allungate era sulla chiave del ponte, emettendo un grande sbuffo vaporoso, si fermò.

La donna subito si occupò di capire cosa stava succedendo, ma il controllore la rassicurò dicendo che la linea era impedita, c’era il rosso. Si può comprendere allora come la donna avesse tutto il tempo per osservare meglio quel pescatore vestito di tutto punto e con il basco vermiglio.

Senza neppure sforzarsi tanto vide subito in lui l’abile pescatore, il grande cacciatore, il famoso esploratore, insomma l’uomo che vive di caccia e di pesca e che, con questa unica attività, riesce a sfamare una intera famiglia, piena di piccoli affamati di tutto. Un uomo così poteva permettersi i figli che voleva, e pure le donne... Chissà quante avventure poteva raccontare, quante volte aveva sfidato la sorte avversa, in quante occasioni aveva portato a casa la pelle per un soffio...

In quel momento Ugo entrò nel torrente, fece qualche passo fino a che l’acqua gli lambì l’orlo degli stivali, poiché voleva provare ad arrivare nella pozza più a valle, ma gettando da dietro il gengone senza farsi vedere. Prese questa iniziativa anche per dare sollievo ai piedi che, imprigionati da diverse ore in quei blocchi di gomma, gli si erano gonfiati.

Alla donna dagli occhi grigioverdi quasi orientali sottolineati dagli zigomi sporgenti, questo gesto sembrò della massima audacia, come di colui che osasse guadare un fiume in piena. Sentì freddo per il pescatore e si rifugiò per un attimo dentro allo scompartimento, seduta ma con il naso appiccicato al vetro. Si abbracciava i gomiti acuti e un brivido le corse giù per la schiena. In quel momento per il pescatore sentì anche dell’altro: una sorta di ammirazione, si stima, di invidia, di innamoramento... (macchè figuriamoci!) .

Ah perché il suo uomo non andava mai né a pesca né a caccia! ed ora, che aveva perso il lavoro a seguito dell’invenzione dell’automobile, se ne stava sempre chiuso in casa a fare niente e se usciva era solo per andare a bere all’osteria o al ritrovo dei fannulloni? Perché non lo sfiorava minimamente la voglia di cercarsi un nuovo lavoro adatto ai tempi nuovi, il desiderio di darsi da fare in qualsiasi modo per mandare avanti la famiglia, di dare una sterzata alla loro esistenza, di cercare almeno il gusto dell’avventura?

La donna dagli occhi grigioverdi allungati, dagli zigomi forti e dalla bocca contornata da labbra sottili, identificò in quel pescatore con gli stivali immersi nell’acqua gelida tutto quello che il suo uomo non era, non era mai stato, e mai sarebbe diventato. Vedeva in lui un insieme di doti, di caratteristiche , di attributi che aveva sempre richiesto ad un uomo, ed il pescatore le pareva che se le portasse addosso, appese come le palline all’albero di Natale, ed ogni tanto brillavano ad intermittenza, bastava battere per un istante gli occhioni grigioverdi.

Spostando lo sguardo sulla borsa a rete con la spesa fatta al mercato della piazza dell’orologio non poté fare a meno di pensare ai suoi bambini, alla loro fame insaziabile, alla loro voglia di vivere. In loro riponeva tutte le sue residue speranze; mentre gli anni passavano riconosceva che loro erano stati l’unica promessa che la vita le aveva mantenuto: erano sani, belli, biondi come lei, in loro ora specchiava i suoi desideri. Sulla faccia del suo uomo invece rifletteva la sua rabbia, la sua paura, la sua angoscia. Ed ora cosa rifletteva su quel pescatore? Ci pensò un attimo, ma non seppe cosa rispondersi, rimase turbata, non riusciva a stare con la testa nella carrozza ferroviaria, la sua memoria frullava vorticosamente nel gorgo dei ricordi giovanili: l’infanzia nel freddo maso del nonno, l’adolescenza all’istituto professionale della valle sola fra tanti uomini, i sogni di diventare segretaria, i primi fidanzatini e il brusco risveglio con un figlio in pancia ...

Qui si interrompevano improvvisamente i suoi ricordi; il tempo di guardarsi distrattamente le mani lunghe da signora rovinate dal tempo, dal gelo e dalla terra, di rigirarsi tre volte attorno al dito la fede e ricominciavano di nuovo con altre scene, altri volti, altre luci, ma dello stesso periodo di tempo. Quella che pensava non era la donna, ma la bambina con gli occhioni grigioverdi, la ragazzina dagli zigomi rotondi che gli spuntavano in contemporanea coi seni (anch’essi rotondi e forti), la ragazza che tutto il paese guardava come si guarda una bellezza rara, la giovane a cui tutti non faticano a predire un radioso futuro e un matrimonio importante.

Stava ricominciando un altro giro di ricordi quando laggiù il pescatore all’improvviso si animò, lei si alzò in piedi per vedere meglio. Il pescatore puntò saldamente gli stivali nel greto del fiume, le gambe divaricate, il bacino in avanti ed il busto leggermente flesso indietro, la canna saldamente tra le mani. Questa canna si fletteva a movimenti alterni di pochi secondi, ogni volta di più; negli intervalli il pescatore raccoglieva il filo, la frizione del mulinello strideva. Quando sembrava sul punto di rompersi, vibrò violentemente poi la curvatura si addolcì ed uscì dall’acqua una grossa trota argentea che si dimenava portando la coda quasi sul muso con rapide frustate, ma ormai non poteva sfuggire trovando l’aria al posto dell’acqua.

In quell’attimo mentre la pelle squamata, ma tirata fino a scoppiare rifletteva di luce nel sole primaverile come una posata argentata, il treno diede uno strattone poi lentamente si mosse. La donna lasciò le sue sfere grigioverdi sul pescatore e sulla trota ancora vibrante di vita fintanto che tutto non sparì dietro una macchia verde; le sue mani grandi ed affusolate rimasero attaccate al vetro per un tempo maggiore...


(continua)

venerdì 22 gennaio 2010

L’abito non fa il monaco, ma ripara dal freddo (1a parte)

C’erano due volte sotto un ponte, in una scorreva un’acqua verde e gelida, l’altra era colma di sassolini piatti, levigati, secchi e colorati, monete di vecchie ere geologiche.

Ugo pescava con la mosca immediatamente a valle del ponte, dove il torrente faceva una buca piccola e profonda; l’acqua rallentava il suo flusso dopo avere accelerato in una cascatella bassa e stretta tra due gengoni. L’acqua era talmente limpida che le trote vedevano il pescatore e non abboccavano; si limitavano a girare attorno all’esca con grande tormento.

Ugo non era un grande pescatore, tanto che, se avesse dovuto vivere di quel che pescava, sarebbe già morto da tempo. Veniva a pescare in questo sperduto torrente alpino principalmente perché era in cerca di quiete al suo mare interiore che solo i rumori della natura ancora intatta riuscivano a calmare. Il gorgoglio dell’acqua sui sassi rotondi, l’odore del muschio che divorava i gengoni caduti chissà da dove, il lamento del cuculo proveniente da qualche punto indeterminato del bosco vecchio, le scie resinose che ogni tanto il vento portava sotto le sue narici, il freddo pungente del mattino che era un tutt’uno col silenzio circostante, quasi doloroso dopo una intera settimana passata nel frastuono caotico della grande città.

Si era svegliato presto, in silenzio per non svegliare nessuno in casa, era sceso ancora in pigiama nel fondo dove si era vestito da pescatore: mutande di lana lunghe, camicia di fustagno, maglione pesante, pantaloni di velluto a grandi coste, lunghi stivali di gomma, giacca di tela cerata e in testa un basco rosso, unico tocco eccentrico e personale. Si riempì le tasche del giubbotto di tutto il necessario per la giornata di un pescatore: sigarette, accendino, pipa e tabacco, caramelle e ...scaldamani catalitico; prese la cassetta da pesca già pronta dalla sera prima e si avviò sul suo vecchio motorino verso la meta agognata.

Il mezzo soffriva inerpicandosi sui tornanti che portavano al torrente, il fondo stradale era sempre più sconnesso man mano che si saliva: grosse buche colme d’acqua colorata erano come ostacoli di gimcana da superare.

Ugo respirava a pieni polmoni, si guardava attorno distratto come fosse la prima volta che capitava da quelle parti, tutto lo incuriosiva, tutto guardava, tranne la strada e ogni tanto finiva nelle buche spruzzando la broda tutt’intorno. Ogni buca era un goal che Ugo sottolineava con un urlo dirompente di gioia presto inghiottito tra le frasche del bosco che lambiva la strada, gli schizzi d’acqua erano come l’esplosione di uno stadio all’idolo vincitore.

Ugo era felice e più Ugo era felice e più il formichino soffriva; ma era un mezzo meccanico sottomesso all’uomo senza neppure più la possibilità di scartare di lato come avrebbe fatto un bisonte inferocito o imbizzarrirsi come un cavallo pazzo. Le leve di comando erano saldamente nelle mani e nei piedi dell’uomo e rispondevano meccanicamente, con un preciso ed immutabile rapporto, alla sua forza.

Cominciò il tratto sterrato, dove la terra aveva un colore rosato come il volto di una madonna rinascimentale. Ugo si senti ispirato da romanticismo e cominciò a zigzagare allungando il tragitto ma riducendo la pendenza per favorire il Rumi che sbuffava nel tubicino di scarico come il vapore in una ciminiera incrostata. Le ruote lisce slittavano sui sassi più fini, lanciando quelli più grossi dietro o di lato: ogni ostacolo sul loro cammino rispondeva con un secco suono che contrappuntava quello lamentoso e monotono del motore imballato.

Il sole era ancora sotto le montagne.

Ugo estrasse una sigaretta senza filtro dalla tasca del giubbetto, l’accese parando la fiamma con la mano nodosa, inspirò profondamente il fumo in gola guardando intensamente il galleggiante fucsia, cercando di cogliere un moto sospetto. Non vedendolo, chiuse per un attimo gli occhi poi espirò tutto il fumo ...ed anche qualcos’altro. Era ormai fermo da diverse ore sul greto del ruscello, la sua rete era vuota come pure il pacchetto di Nazionali. Ogni tanto cambiava la mosca, ma il risultato era sempre il medesimo; comunque non si arrabbiava, la pesca non era fatta per arrabbiarsi, ma al contrario per rilassare. Secondo la sua teoria, ed Ugo ne aveva diverse di queste teorie riguardo i più svariati aspetti della vita e tutte a loro modo originali, prendere il pesce equivaleva ad un guaio: tirandolo fuori poteva slamare, poteva essere sottomisura e bisognava rilasciarlo, l’amo poteva conficcarsi nelle pieghe più profonde della bocca, servivano arnesi, poteva dibattersi, bisognava stordirlo sbattendolo su una grossa pietra...

Era molto meglio che non abboccassero. Di questa ipotesi, per altro ricorrente, ne aveva fatto un vanto con gli amici al bar ed un dettaglio insignificante a casa.

Finito il pacco di sigarette passava alla pipa, non prima di essersi ripulito la bocca con alcune caramelle di menta e liquirizia. Per preparare il tabacco occorreva una pausa poiché servivano entrambe le mani. Allora si sedeva sopra la pila centrale del ponte e durante il rito dell’accensione passava, con precisione cronometrica l’accelerato delle 9.54, lo stesso che era passato già alle 6.14, mentre Ugo scendeva il ripido e stretto sentiero che collegava la strada al ruscello, con il carico di lavoratori da portare nella grande città. Ora era quasi vuoto se si esclude l’equipaggio e qualche comare della valle che tornava con la borsa della spesa ricolma.

Questo treno era l’unico rimasto su quella linea secondaria destinata ad essere potata prima o poi, ma prima avrebbero dovuto sistemare la strada. Il treno era anche l’unico contatto in quei luoghi tra la natura, vecchia come il mondo, e la nuova società industriale appena trapiantata, tra un’epoca imprecisata dominata dalla vegetazione e dagli animali e l’epoca moderna dominata dall’uomo e dalle sue macchine. Senza quel treno Ugo sarebbe potuto essere l’uomo delle caverne che pescava con la clava (a proposito sarebbe stato un problema!) oppure il villico romano che pescava con la rete di corda oppure il cavaliere errante che guadava il fiume a cavallo della sua bianca giumenta, oppure lo zoticone di tutte le epoche che beveva a quella limpida fonte, o semplicemente il suo avo materno con la parrucca bianca che in quei luoghi aveva fatto il guardiaboschi al tempo dell’invasione napoleonica.

Spesso tra una sigaretta e l’altra sognava quelle storie dove i contorni cambiavano, ma lui era sempre il protagonista: il re Ugus, l’imperatore Ugo I (e ultimo), il terribile bandito Brugo il bruto, il generale Ugorsky al comando delle truppe austroungariche, il celebre artista Ugo Ughi di passaggio tra questi monti durante una tournée per le contrade d’Europa...

Si sarebbe potuto tranquillamente dire che per Ugo andare a pesca era come andare a teatro, se si potesse farlo senza pagare il biglietto.

Il fischio del treno, e soprattutto il tremito del pilone, lo riportarono invece alla realtà, alla divisione tra metropoli e montagna, alla incompatibilità tra azioni e sogni, al fumo nero e denso dell’industria, al rumore assordante del traffico, al suo stupido e ripetitivo lavoro, alla sua sciocca ed insignificante vita, uguale a quella di tanti altri come lui.

Ugo faceva il tornitore in una industria meccanica che si occupava di armi ed equipaggiamenti bellici. Tutto era cominciato perché la sua famiglia era da diverse generazioni una famiglia di armaioli e allora suo padre lo mandò alla regia scuola professionale per tornitore per prepararlo al lavoro di bottega; ma poi il padre morì troppo presto senza riuscire a trasmettere ad Ugo il difficile mestiere. Cercò allora aiuto dagli zii, anche loro abili artigiani, ma i tempi erano difficili ed i figli tanti, per cui il nipote passava sempre più giù nella lista d’attesa. Si limitarono a mettere, accanto al cognome, una parola buona per l’assunzione in fabbrica. Ugo non era tagliato per la fabbrica, per molte cose non era tagliato per la verità, e quella fu per lui come un’assunzione in galera e ben presto cominciò a pensare all’evasione.

Ora dopo alcuni anni si può dire che se non si era abituato comunque se ne era fatto una ragione; il lavoro era solo una parentesi nella sua vita, una lunga parentesi ma d’altra parte non più lunga di quella parentesi che la maggior parte degli uomini dedicano a dormire. Ugo si rifaceva di questo inconveniente proprio rubando le ore al sonno per dedicarle alle sue passioni.

Come tutti i veri armaioli, non andava a caccia: il fucile era da considerarsi un’opera d’arte e non una semplice arma parente evoluta della fionda; il fucile si doveva esporre nella fuciliera, appendere al muro, accudire come un bambino, accarezzare come una signora, ma mai consumarlo nella dura e perigliosa attività venatoria. Allora ricercando il contatto con quella natura che aveva riempito la sua infanzia, non gli rimaneva che l’attività della pesca.

Il sole era ormai uscito allo scoperto.


(continua)

domenica 10 gennaio 2010

Lo strano oggetto (modificato)

Racconti dell'Adriatico


Solo alcuni anni fa c’erano le stagioni, erano quattro: autunno, inverno, primavera, estate e segnavano il ritmo del tempo. Qui in Romagna poi ne valeva solo una: l’estate, le altre tre si confondevano in un limbo fatto di nebbie spesse o vaporose, fantasiose sagre di paese, languidi o assurdi ricordi, fervidi preparativi, cadenze lente e ripetitive, profumi di castagne, ciccioli di maiale e piada unta. L’estate era la “stagione”, quella del mare, dei bagni, del solleone, delle straniere, delle “patacate”, delle notti bianche, dei soldi ...

L’estate la si aspettava come i bambini, ancora prima, aspettavano il circo e qualche volta ci si lasciava piacevolmente ingannare dalle prime calde giornate primaverili che annunciavano solo altri scrosci d’acqua; ogni estate ricominciava tutto: era un nuovo giro sulla giostra, una canzone nuova.

Ora sempre più spesso per strada si sente ripetere “Eh, non ci sono più le stagioni di una volta, adesso è tutto uguale e tutto possibile; tutta colpa di quelle maledette bombe!”

I mezzi di informazione invece ci ripetono tranquillizzanti che tutto questo è dovuto ad un lento cambiamento climatico dell’ecosistema terrestre, del tutto normale visto in un’ottica geologica, facente parte di una periodica oscillazione attorno ad un astratto punto di equilibrio.

Già, i mezzi di informazione ...


... ed ora passiamo alle notizie dall’interno.

In questa tersa mattina di fine gennaio, dopo una intensa mareggiata, è stato ritrovato su una spiaggia dell’Adriatico uno “strano oggetto”.

Autore della scoperta è l’operatore ecologico Bob che ha prontamente provveduto ad avvisare il Comando della Protezione Civile.

Sul posto sono subito accorsi numerosi giornalisti dei principali network e dei più svariati giornali elettronici nonché una folla di curiosi e di villeggianti.

Come documentano le prime immagini arrivate in redazione, Bob scodinzolando mostra agli esperti il luogo esatto del ritrovamento ed il suo sguardo all’Iper-Questore è inequivocabile: pretende come ricompensa un megaosso fritto Eureka! (messaggio pubblicitario)

Ritrovato misterioso oggetto metallico sulla costa adriatica Inspiegabili fenomeni collegati alla scoperta

Ecco il cordone degli agenti che trattiene i curiosi mentre procedono, con estrema cautela, le operazioni di recupero poiché la “cosa” potrebbe risultare altamente nociva inoltre ancora non si conosce la natura e la provenienza dell’oggetto ; infatti si è già attivata una procedura di V.I.A.

In quest’altra inquadratura invece il bagnino Pino mostra orgoglioso il suo nuovo stabilimento balneare che funziona tutto l’anno e con qualsiasi condizione meteorologica grazie alla gestione automatizzata del microclima...

Giunge purtroppo ora la notizia di alcuni bagnanti colpiti da insoliti malori, subito ricoverati al Polispedale del capoluogo rivierasco dove sono stati sottoposti a trattamenti di ludochiroterapia, agopuntura laser e cure omeopatiche con risultati non del tutto soddisfacenti.

Mobilitazione generale per lo strano reperto Il primo cittadino invita alla calma ma intanto sono giunti sul posto esperti NASA

Per evitare inutili allarmismi il “reperto” è stato trasferito in luogo segreto e protetto, dove potrà essere più accuratamente studiato e sottoposto, forse, al test della macchina della verità.

Dal giorno del ritrovamento il tempo è notevolmente peggiorato sulla costa: il mare è violentemente mosso da un moto ondoso irregolare anche se non soffia una bava di vento, il cielo è costantemente velato e l’aria è irrespirabile tanto è calda e acida.

Non sono pochi coloro che temono un tardivo manifestarsi degli sconvolgenti cataclismi apocalittici di fine millennio predetti dai ministri esoterici, astrologi e anche qualche religioso, ma di cui non si è vista la benché minima traccia.

A tali persone terrorizzate, a cui i telesantoni chiedono insistentemente di pentirsi, a nulla giova ovviamente ricordare che Cristo in realtà nacque sei anni prima di quanto si credeva fino a qualche tempo fa e quindi già saremmo nel 2006 avendo aggirato la boa del millennio, senza danno alcuno, da ben sei anni!

Ormai l’oggetto è stato fotografato ed esaminato anche da esponenti dei più diversi settori delle nuove discipline: geobiomatici, metafisicinucleari, criptopsicologi, archeodesigner.

Mettendo insieme alcune indiscrezioni filtrate, pare che non si possa escludere una provenienza aliena dell’oggetto.

Ma vediamo meglio con questa foto ravvicinata di cosa si tratta; la forma è alquanto strana, la lucentezza davvero inquietante! A cosa può servire un tale arnese?

A proposito... la nota conduttrice di quiz Nike mette in palio uno speleoviaggio per 2 persone nel cratere del vulcano Krakatoa a chi ne indovinerà l’esatto uso e provenienza.

Guardatelo bene ancora una volta prima della pubblicità ...

Interpellanza delle opposizioni sulla incapacità di controllare la crisi dell’Adriatico mette in difficoltà il Governo di destra-centro-sinistra Fuga in massa di turisti dalle pensioni e di lavavetri dai semafori

Purtroppo l’efficiente Bob non ce l’ha fatta: questa mattina ha cessato di respirare ed è stato già sottoposto a clonazione, vista la grande richiesta giunta da ogni parte d’Italia.

Cosa avrà causato la misteriosa morte dell’operatore ecologico?

Lo abbiamo chiesto a numerosi esperti delle scienze alternative: magnetoveterinari, neurocinofisiatri, emorabdomanti e al mago Fritzin officiante di antichi riti runici e celtici che riceve all’indirizzo MilanNet che vedete scorrere in sovrimpressione.

“Quello che è successo al povero Bob è senz’altro dovuto alla carenza del fluido benefico emanato dal suo focolare astrologico, ricordate quindi di cambiare la carica prima che si esaurisca per evitare pericolosissimi periodi bui; approfittate allora della nostra promozione che vi offre 3 cartucce tre al prezzo di 2! Affrettatevi, l’offerta è limitata all’esaurimento delle scorte!”

Di qualche minuto fa è il fax del direttore del LAM (laboratorio analisi metallurgiche) che sostiene non essere ancora possibile stabilire il materiale con cui è fatto l’oggetto, ma garantisce che le indagine tecniche stanno procedendo rapidamente, grazie alla cospicua sottoscrizione pubblica, e al prossimo comunicato sarà in grado di formulare una risposta esauriente.

Lunghe code alle frontiere Seri controlli per prevenire un possibile contagio nella Comunità

Ingenti danni alla stagione turistica calcolati dagli esperti di romagnamia in diverse decine di milioni di fiorini europei; viva è l’apprensione tra gli operatori economici che sperano di poter accedere ai fondi previsti dalla Comunità per le calamità naturali.

La provenienza aliena del metallo sembra sempre più certa; recenti sondaggi effettuati in strada la danno al 67%, in aumento di 15 punti rispetto alla precedente rilevazione, il 19% ritiene si tratti di un reperto archeologico di Atlantide che un precedente sondaggio ormai consolidato ha dimostrato essere sprofondata proprio al largo della costa adriatica, il 9% pensa alla materializzazione dell’antimateria, mentre il restante 5% non sa o non risponde.

E’ stata intanto annullata la maxitelefonata da Guinness dei Primati che doveva coinvolgere domenica più di trecentomila utenti-bagnanti collegati contemporaneamente con i loro satellitari al Telefono Arcobaleno in favore dei bambini daltonici; l’iniziativa sarà riproposta non appena la situazione si avvierà alla normalità.

Intanto non vi è alcuna notizia, da alcune ore, del direttore del LAM che è sparito lasciando come unica traccia le casse dell’Istituto vuote e la moglie nigeriana disperata che ripete “Torna signore, torna. Ma è tanto buono che lo perdono”.

Lo strano oggetto diventa il gadget più gettonato dell’estate La guerra del brevetto è senza esclusione di colpi

Per gente che parte, gente che arriva: vengono per vedere con i loro occhi i luoghi del ritrovamento della “reliquia”, stringere la mano al bagnino Pino, visitare il monumento-ologramma al fedele Bob, provare sulla propria pelle l’ebbrezza di un bagno nell’acqua ribollente, ballare al ritmo astrotribale del “ballo della cosa” che impazza nelle laserteche della riviera.

Le condizioni climatiche sono intanto in continuo lento miglioramento come mostrano i dati rilevati stamani dalla centralina mobile pigeon che ha sorvolato le principali località balneari; le autorità invitano comunque a portare sempre la mascherina a protezione delle vie respiratorie come d’altronde è ormai saggia consuetudine.

Ed ora, prima di concludere, ecco l’oroscopo e i numeri vincenti della lotteria abbinata alla festa di San Valentino ...

Il mare è come un enorme pentolone di minestra in ebollizione; anche vicino riva, dopo i cordoni dei filtri chimicobatterici, l’acqua, seppure pulita, è in frenetico movimento, un po’ come in attesa degli spaghetti. Conformemente a quanto raccomandano le diete alimentari anche quest’acqua è insipida per non rovinare la pelle dei bagnanti ma colorata di un bel blu cobalto per fare nuotare felice la fantasia verso mari lontani ...

La sabbia selezionata e pastorizzata è posata in strati paralleli via via di colore sempre più chiaro: quelli più profondi emergono qua e là disegnando loghi commerciali; esili cunicoli ellissoidali in fibrocemento spuntano da questa sabbia, leggermente ammonticchiata attorno al tubo e alle palme sintetiche, emettendo lunghe file di pazienti bagnanti perfettamente allineate, tutti con il loro capellino di celluloide, il corpo brillante di film protettivi plastosiliconici, gli stivaletti autoimmuni ai piedi e il computer da polso, insomma pronti per una nuova, lunga e salutare giornata di terapia marina.

Geppe è un tipografo in pensione da quando l’era dei computer ha reso inutile il suo lavoro.

Ridge è il suo nipotino che non sa come confidare al nonno di avere perso nella sabbia, alcuni giorni prima, quell’arcaico ingranaggio della rotativa che il vecchio aveva sottratto come ricordo dall’officina e poi aveva regalato al bimbo che lo usava per realizzare i suoi castelli di sabbia.

L’uno ricurvo, l’altro saltellante, camminano tenendosi per mano sul bagnasciuga antiscivolo in canottiera, pantaloncini e sandali; é una splendida mattina di metà febbraio, l’aria frigge di iodio che fuoriesce dagli ugelli sparsi accanto ai pali alzabandiera, sotto l’ombrellone parabolico la TV ad alta definizione trasmette in diretta satellitare da Sidney l’inaugurazione dei XXIV Giochi Olimpici.

I titoli dei quotidiani informatici sono monopolizzati dalle mirabolanti sfide sportive e dai possibili nuovi record mondiali, quali saranno, se ci saranno, i limiti alle possibilità dell’uomo del nuovo millennio?


(testo rivisto e corretto per la partecipazione, fuori concorso, al MER 1996)