Racconti dell'Adriatico
Cerco a tastoni la porta del terrazzo, finalmente la trovo, la apro. Si è fatto notte ed è ancora pomeriggio. Il cielo è stellato ed una grossa falce di luna ne illumina una parte nascondendo le stelle, altre luci al cromo formano lunghe stelle filanti in lontananza, una vasta zona resta al buio. A poco a poco l’occhio si abitua alla notte e vede meglio, vedi di più. Nel fondovalle c’è ancora la nebbia, non più bianca, ma grigio scuro, quasi blu, se non fosse per le onde messe in evidenza dalla luna gigante. Sul mare di nebbia la luna si comporta in modo inverso al mare d’acqua: il livello della nebbia ora è calato come in una bassa marea, ma la materia si è fatta più densa, impenetrabile.
Giro le spalle al mare e guardo la Città, col suo chiarore giallognolo, non dovuto alla luna ma a qualche strana malattia; le torri difensive, i tetti di coppi, le finestre accese, i muri rugosi, i lampioni firmati; la vicinanza fa apparire tutto piatto, senza spessore come certi scenari mobili in libri illustrati per bambini, un paese incantato, muto, tanto lontano dal fervore e dal chiasso dalla vita. Come è importante il punto di vista da cui si guardano le cose! Il fotografo di qualche anno fa per uccidere la noia di un giorno festivo si aggirava sulla spiaggia, tra i capanni, affondando le scarpe nella sabbia umida e rubava qua e là delle immagini, catturava dei momenti, lasciandosi portare dall’istinto, guidare dai tempi di otturazione e dall’apertura del diaframma. Lo spettatore di oggi, in preda ad una forza misteriosa, succhia queste immagini sul muro in rapida successione come in una galleria, ha una visione complessiva, può tornare facilmente indietro, confrontare, misurare, criticare. I due non vedono la stessa cosa: il rosso può diventare rosa, il verde blu, l’inverno estate, la tristezza allegria, il banale sublime e viceversa. Dal Cantone oggi sembrava di essere sul terrazzo di un faro, il sole era la grande lampada che illuminava il mare di cotone, nel grande mare si scrutavano imbarcazioni da salvare e sembrava di godere di chissà quale privilegio rispetto a chi stava sotto e nuotava alla deriva. Ora, da sotto, questo faro non pare così solido, così sicuro e non sembra indicare alcuna via al naufrago, tanto che è preferibile lasciarsi andare alla leggera corrente, piacevole lasciarsi trasportare dalle onde verso l’ignoto.
Chissà come appare ora dall’altra parte del mare, dalla terra di Marino, questo scoglio, il monte di Marino: la sagoma del Titanic in crociera straordinaria, in mezzo al fumo di questo vapore, tutte le luci accese, la musica dell’orchestra che ci accompagna, tutto sembra in festa con questi nuovi ritmi americani, il mare è calmo e non lascia supporre tempeste, per questa nera, nera nave che mi dicono che non può affondare...5
5 saccheggiando da TITANIC di Francesco de Gregori.
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