sabato 31 ottobre 2009

Espresso 823 “freccia del sud” Carrozza 1 compartimento 7 Notte di San Lorenzo (2p)

Roma - Napoli (2p)


Si, ha detto proprio così st’impunito…

“Io sono Marina” dice pronta la vamp sorridendo a Rocco. Lui non riesce a non pensare: “vuoi vedere che fa Valeri di cognome?” Poi si fa il giro completo dei nomi di battesimo che, siccome il presente racconto non è stato scritto subito dopo gli eventi descritti, se ne sono andati con le notti insonni siciliane della voce narrante. Chissà perché solo uno è rimasto e non è detto che sia quello vero…
Insomma chiamiamoli con dei nomi presi dal calendario, che tanto tutti provengono da un tempo precedente all’era delle TV series: Michele il fidanzato, Marco il fratello, Francesca la dama di compagnia e Alfio, che in Sicilia va tanto, l’autista fornitore.
“Sapete giocare a Uno?” chiedono i ragazzi. Rocco si sente ancora fuori posto, dato che Alfio, a sentirlo, sembra il campione siculo-piemontese di Uno.
“Michele, spiega al … a Rocco come si gioca” dispone decisa Marina con quella sua voce che rovina tutto il resto. Michele è un vero disastro nelle spiegazioni, nelle costruzioni verbali e nella logica, nonché nel tenere le carte; il ragazzo deve possedere chissà quali altre doti per incantare una tale bellezza…
“Forse è meglio fare un giro di prova” interviene in soccorso Francesca che pare una altrettanto sicura del fatto suo. “Certo, vedrai che non è difficile” rassicura Marina a Rocco.
Il passaggio al tu ha gasato il dongiovanni che, guardando dentro gli occhi della ragazza, risponde: “Okay” e sta quasi per aggiungere “pupa”, ma si trattiene.
Manca la tavola per riporre il mazzo e scendere le carte; sembra un grosso problema, tale da scombinare la comitiva appena formatasi, ma infine Marina trova la soluzione: si tende l’abito allargando leggermente le gambe e, sistemandoselo sapientemente sul sedile, esclama entusiasta della trovata: “Ecco fatto, mettere qui”.
S’inizia il gioco ed in breve s’imparano le regole, se non i trucchi, per raggiungere lo scopo, che è quello di finire tutte le carte. Ci sono semi di vari colori e carte speciali che costringono, chi le riceve come scarto dal vicino, a compiere determinate azioni che non vorrebbe compiere: prendere altre carte dal mazzo, saltare il giro, invertire il verso della giocata, cambiare colore, ecc.
Si può poi anche bluffare e infine bisogna ricordarsi di dichiarare l’ultima carta, gridando “Uno”, non appena scartata la penultima.
Si comprende pure che il gioco è lungo; allora si decide di interrompere la prova e di passare al gioco serio. Non ci vuole molto perché Rocco e Marina ingaggino una lotta personale, fatta di carte speciali e sguardi sospetti: prendi quattro carte, tiè; a sì, allora salta il turno; d’accordo, inverto il giro… Marina, forse perché deve restare immobile con la parte inferiore del corpo, si agita con quella superiore e, siccome il vestito non è elastico, il seno le emerge dai limiti già stretti del tubino. Ovvio che Rocco debba essere sovente richiamato dai giocatori a seguire il gioco…
Avviene poi che il mazzo, posto inizialmente sopra un ginocchio, scenda lungo l’arco del vestito e qualcuno debba risistemarlo; inoltre il cumulo delle carte scartate piano piano, ma inesorabilmente, cade nell’incavo delle cosce, laddove sarebbe meglio non rovistare.
I giocatori iniziano bluff e controbluff, tranne i due che continuano una lotta personale, contraria alla missione del gioco, a chi riesce a racimolare più carte. Il fratellino vorrebbe anche contare le carte rimaste per una classifica generale, ma per fortuna gli altri lo convincono a contare solo le singole vittorie.
Ad un certo punto ognuno dei giocatori ha avuto il suo momento di gloria, tranne Rocco sabotato con tutte le armi da Marina. Molte volte ha urlato “Una”, subito corretto dal fratellino “Uno, si dice Uno, come il gioco…”. Il fatto è che Rocco, da qualche settimana, ha in testa un chiodo fisso: Una che non ne vuole sapere di lui e lui, da vecchio cacciatore incallito, non riesce ad accettarlo. Gli frulla pure per la mente la canzone di Battisti, appunto “Una”, che gli pare descrivere così bene quella sua situazione. È facile allora comprendere come sia più facile per Rocco gridare “Una” piuttosto che “Uno”, anche per farsi poi sogguardare maliziosa da Marina “Una?!” al ché il macho s’intenerisce ed improvvisa una teoria, degna del vetturino della carrozza n.2, per cui il genere femminile è da riferirsi alla carta e non eventualmente ad altro.
Alfine, per una congiunzione favorevole degli astri, Rocco riesce a guadagnare proprio l'ultimo giro, dopo avere sommerso Marina sotto una mole di carte che non riesce neppure a tenere tutte in mano. “La prima è dei bambini… si dice dalle nostre parti” gongola Rocco, ma lei non raccoglie e già cambia discorso: “sta sera è la notte di San Lorenzo! Guardiamo se cadono le stelle…”; ma il treno è lanciato verso il sud e trema tutto come un vecchio febbricitante: non è il caso di scombinarsi l’acconciatura, deve aver pensato la vamp, che allora esce nel corridoio.
Rocco al richiamo delle stelle cadenti ha avuto un attimo di mancamento, tanto è bastato per farsi sfuggire l’occasione; gli altri viaggiatori hanno già ripreso con la briscola e insistono perché partecipi pure lui. A Rocco sono sempre piaciuti altri giochi… sostiene che non è capace di giocare a briscola, ma non gli crede neppure Alfio, che ha proprio l’aria di credere ancora alle favole.
Si creano le coppie Alfio-Rocco e Marco-Michele, dopo che Marco aveva tentato inutilmente, chissà perché, di mettersi in coppia con Rocco, mentre Francesca segue distrattamente il gioco.
Alfio propone una modifica per animare la sfida: s’arriva ai 120 anziché ai 60 punti, come sembra s’usi nell’isola. L’innovazione non cambia le carte in tavola e i due matusa perdono dai due pischerelli anche la rivincita. Intanto dal corridoio arriva la voce acuta di Marina che evidentemente è impegnata in un dibattito, poiché le voci da basso o da baritono s’infrangono contro lo sferragliamento del convoglio e solo quella da soprano emerge imperiosa sulla dodecafonia di fondo. I giocatori, impegnati nella disputa generazionale, non prestano attenzione al discorso, Francesca invece si. “Ma senti… che segno sta prendendo il discorso!” dice accostando l’orecchio al vetro. Allora anche gli altri stanno in campana, ma arrivano solo parole staccate: omosessualità, lesbiche, bellezza maschile e bellezza femminile, ecc.
“È mia sorella…” sbuffa Marco con rassegnazione.
“Cosa stanno dicendo?” chiede curioso Rocco a Francesca.
“Stanno raccogliendo una collezione di luoghi comuni… in treno si deve pure passare il tempo” filosofeggia la biondina.
“Però che grinta!” sbotta Alfio, accompagnando l’esclamazione con un’espressione divertita.
“Dai giochiamo” insiste Michele.
Ma i due pirla hanno quasi raggiunto la meta nella prima mance e non c’è più storia…
Ad Alfio squilla una musichetta disco anni settanta da qualche angolo riposto e sudaticcio. “Si, ciao. Sono ancora a Firenze, eh sai il ferragosto, un gran casino, ma mi sono sistemato bene… Come? Nooo… è solo che ho trovato un posto in cuccetta, così arrivo riposato. Quando… ma non lo so, siamo ancora fermi qua, ma certo a Firenze! Te l’ho detto, tutti gli orari sono saltati. Dai ci sentiamo eh? Ciao”
I pischerelli fanno due palle d’occhi da cartoni giapponesi, controllano per sicurezza fuori dal finestrino, mentre Rocco e Francesca sono ancora sintonizzati sulla lirica. Alfio si sente in dovere di giustificarsi: “è mia moglie… dico così per non tenerla in pensiero… chi lo sa quando arriveremo? non dovevo partire… ho deciso all’ultimo momento perché è saltata una consegna in Valtellina, allora sapete è su di giri… non scendo da pasqua”.
“Aah…” sospira Marco rassicurato.
Intanto nel corridoio s’è passati alla pornografia, al sesso multiplo, al femminismo e al maschilismo. Francesca, che è sempre più nervosa e sorride a tutti quanti come una hostess di linea, irrompe: “adesso esco e chiedo cosa ne pensano del sesso con gli animali… Voglio proprio vedere!” e così dicendo fa scorrere la porta. Gli oratori sono seduti in riga sul pavimento con la schiena contro la parete divisoria del corridoio e i piedi piegati, per mancanza di spazio, contro il bordo esterno della carrozza; i maschi possono sedersi come i pellerossa, le femmine, ma si vede solo la sagoma bianco-grigio-fiorata, dunque Marina si tiene le caviglie con le mani e appoggia ogni tanto il mento alle ginocchia, quasi a sottolineare la volontà di passare finalmente la parola.
Francesca lascia perdere gli animali e viene pure lei risucchiata nella conversazione, che ormai pare tra vecchi conoscenti che si scambiano il fumo e le caramelle, si blandiscono cercando di smussare le loro posizioni inizialmente perentorie e insomma… cercano di passare il tempo.
Rocco vorrebbe portare la discussione sul sado-maso, ma non fuma e ormai non c’è neppure un centimetroquadro per posare i piedi nel corridoio, però una caramella…
Ecco che torna il vetturino. Allarme rosso! Tutti sull’attenti e, interrotta ogni attività, restano col fiato sospeso. L’uomo entra nelle cabine ed abbassa bruscamente i lettini superiori. “Di già!” esclama deluso Marco. “Eh giovane… è pure tardi è pure… avrei già dovuto farlo un’ora fa, ma insomma sono solo per due carrozze, che il collega della carrozza n.1, cioè questa, è in ferie, e faccio quello che posso faccio”. Passata la burrasca si cerca di riprendere la vita normale, ma tutto è stato rimescolato e ognuno viene distratto da nuovi spunti e pretesti. Rocco abbassa il finestrino per prendere un po’ d’aria ferruginosa, il treno rallenta tanto che si riesce a leggere su un cartello blu una scritta bianca dentro una specie di cartiglio, pure bianco, “Bagnoli” e questo basta per portare i suoi pensieri indietro di pochi mesi, in novembre, quando ha visitato questi posti: Napoli, Ercolano, Pompei, Ischia, Capri, Nisida, Bagnoli. Alla faccia dei luoghi comuni Napoli pareva Londra, tempo variabile, pioggia leggera e insistente o forte e intermittente: grandi affari per gli ombrellai.
Nella galleria di Napoli Centrale infila la testa nel finestrino anche Michele, nonostante le realistiche difficoltà dovute ai lettini abbassati. Il ragazzo è in vena di confidenze e dice che vuole vedere la stazione perché dovrà tornare qua a settembre a trovare la sua ragazza; c’è già stato una volta, ma i matusa di lei non vedono bene questa relazione e allora non ha combinato granché. Rocco cade dalle nuvole: “e Marina?” pensa. Poi però non dice nulla, limitandosi a chiedere, distratto, notizie su quell’infelice amore. Quando il treno riprende la corsa, tirano su il vetro e dentro volano sacchetti di plastica con dentro lenzuola e federe di carta e rimbalzano cuscini di gommapiuma.
“Uno a testa, uno a testa… sono esatti, mi raccomando!” scandisce il ferroviere. In quel momento uno dei ragazzi del corridoio cerca di fare una domanda al vetturino, ma questo lo blocca affermando che per chi non ha la cuccetta, niente lenzuola e cuscini naturalmente… anzi non sarebbe neppure consentito occupare i corridoi, che questi servono per chi lavora e per muoversi… ma in fin dei conti non può pensare a tutto lui, altrimenti avrebbe da un pezzo scaglionato le ferie a tutti.
“D’accordo, però io volevo sapere quando è previsto l’arrivo a Messina…” protesta il ragazzo. “Non glielo posso dire, portiamo ritardo… una cosa del genere non si può sapere”.
“Ma all’incirca… quando era previsto l’arrivo? se portiamo un’ora di ritardo, allora arriveremo un’ora dopo…” insiste il fusto in t-shirt.
Il ferroviere, guardando di sfuggita l’orologio da polso, replica: “Portiamo 38 minuti di ritardo per l’esattezza e da qui a Messina potremmo accumularne altri, speriamo di no ma non posso saperlo adesso, potremmo recuperarli tutti o in parte, dipende… e poi tenga presente che dobbiamo imbarcarci sul traghetto…”.
“Dunque se ad esempio dovevamo arrivare alle 6, l’arrivo previsto sarà per le 6 e 38?” prova a trattare il giovane.
“Nooo, allora non ci siamo… evidentemente non mi sono spiegato: è impossibile stabilire l’orario d’arrivo una volta che il convoglio ha accumulato ritardo, perché sono molti e variabili i fattori che…”.
“Beh ho capito, buonanotte” tronca scocciato il senza-cuccetta che se ne torna in corsia. Il vetturino che, forse per darsi un contegno durante il colloquio, s’è messo a sistemare i cuscini e a contare le buste, si guarda intorno sconfortato e cerca nei volti dei passeggeri qualcuno disposto a seguire il suo ragionamento: “Santa pace! Ma non posso dire quello che non so, quello che non si può sapere… vorreste che vi dicessi un orario qualunque, bene, ma poi se perdete la coincidenza? Ci sono è… ci sono quelli che dicono quello che la gente vuole sentirsi dire, ma questo non è corretto, no non è professionalmente corretto”.
Il sorriso di Marco, che comunque è rimasto serio a tenere compagnia al soliloquio del perfetto ferroviere, una volta che il tribuno se n’è andato è disarmante ed è sufficiente per far tornare il buonumore alla compagnia.
Marina è ancora impegnata negli avanzi di una discussione con un paio di boys che le muoiono dietro. Ma lei è decisissima a difendere le sue opinioni fino in fondo, dimenticando magari di salvare qualcos’altro. Sostiene, con grande padronanza di linguaggio, che le femmine si farebbero meno problemi ad ammettere una relazione omosessuale o solo ad ammettere la bellezza di un’altra donna, di quanto invece non accadrebbe per i maschi, i quali addirittura, per paura di passare per omo, non si pronunciano mai sulla bellezza maschile.
“Ma quando mai! Certo capisco che Raoul Bova, faccio un esempio, possa piacere ad una ragazza, ma non mi passa manco pe a capa di dire che è un bel maschio; non riesco a vederlo come oggetto di desiderio, macché paura di sembrare gay… ti sembro il tipo?” conclude improvvisamente il sermone uno dei due cascamorti.
“Ma insomma pure io quando sfoglio una rivista di moda e vedo una bella donna, dico ma che bella donna! E con questo non provo alcun desiderio sessuale… che vuol dire?” spiega la ragazza con ampi gesti delle mani.
“E quando sfogli una rivista sexy?” forza quello in canotta, condendo il tutto con occhioni dolci.
“E buonanotte…” sbuffa finalmente Marina. Il dibattito è finito. Marina sarà pure ingenua, ma decide lei i tempi e i modi. Rientra nello scompartimento 7 e si siede al suo posto, che poi non si sa quale sia ed è meglio non chiedere al ferroviere. Nessuno della compagnia azzarda proseguire la discussione, tranne Rocco che prova: “non sono d’accordo con te, almeno fino ad un certo punto…”. “Un certo punto?” rovescia curiosa la domanda nell’aria, stirando leggermente le labbra.
“Per quello che riguarda gli uomini, posso anche essere d’accordo, ma non credo che sia diverso per le donne: credo che sia tuttora più difficile dichiararsi apertamente lesbiche che gay, i condizionamenti culturali e sociali sono troppo forti, perché la libertà sessuale della donna è ancora troppo recente…” prosegue Rocco.
A Marina torna voglia di parlare, mentre Rocco si pente di averla buttata sul complicato; lei sostiene la sua tesi con un diluvio di parole e lui ben presto perde il filo del discorso, distratto dalla prossimità di quella grazia, che mostra pure d’essere intelligente. Rara combinazione!
Ormai l’omosessualità è solo uno scudo per dare spazio, se non proprio all’eterosessualità, ad una conoscenza più intima. Rocco scopre che Marina ha ventitre anni e sta studiando legge, è vicina alla tesi e vorrebbe specializzarsi nel penale. Marina riesce ad estorcere a Rocco solo vaghe informazioni sulla sua vita: lavora in un ufficio pubblico, ha quarant’anni, è single e gli piace viaggiare. Ah viaggiare… lui è diretto a Pachino, lei a Licata, ma scende pure lei a Catania, ché le ferrovie siciliane sono un pianto ed è meglio proseguire in bus. A Licata c’è il padre che ha la seconda casa dove trascorre da anni le vacanze estive. Marco cerca di descrivere le attrattive che l’aspettano a Licata e invita Rocco ad andarli a trovare, se passerà da quelle parti. Nessuno perdona a Rocco di essere per la prima volta sull’isola ed andare a sistemarsi a Pachino, va bene gli amici… ma insomma la Sicilia va vista perbene, perché è ricca e varia. Poi forse si trasferiranno sull’Etna, cerca di difendersi Rocco. “Taormina” grida Marco. “Milo” risponde dubbioso Rocco “vorrei salire in vetta se possibile… avete notizie sull’ultima eruzione?”. “Domattina ci passiamo davanti e vedremo…” risponde evasiva Marina. Rocco non riesce a promettere niente; del resto non è arrivato da lei l’invito. Alfio sta per intervenire, quando si sente ancora la musichetta impertinente provenire da arcani anfratti.
“Ciao, si, si, e dove se no! Mah… dunque si, siamo ancora a Roma, stanno attaccando altre carrozze…” sostiene il siculo-piemontese, cercando di non guardare la faccia di Marco per non rovinare la parte; “tutto bene si… si, si ho mangiato, pure la torta… come? M’è stata offerta dai ragazzi… certo viaggiano nella stessa cabina. Come? …no cosa dici… è una cabina maschile…”. Marco si deve mettere una mano in bocca per non ridere e Alfio deve voltarsi verso il corridoio per proseguire la conversazione: “Quando… ma non lo so, siamo ancora fermi qua, ma certo alla Tiburtina! Tutti gli orari sono saltati, pure il controllore dice che non si può dire quando s’arriverà. Dai ci sentiamo eh? Ciao”.
È quasi mezzanotte, il corridoio è buio da tempo, dalle altre cabine tutto tace, ma nessuno nella cabina 7 ha voglia di distendersi sulle assi da stiro, stirare le lenzuola di carta e riposare nel proprio loculo. Affacciati ai finestrini del corridoio i nottambuli cercano refrigerio, dopo una giornata afosa; vedono sfrecciare il golfo partenopeo inanellato da scie luminose fino a Sorrento, poi il buio quasi totale; l’aria profuma di mare e di mondezza, tuttavia scaccia dai polmoni l’invadente odore di ferrovia.

domenica 25 ottobre 2009

Espresso 823 “freccia del sud” Carrozza 1 compartimento 7

Bologna-Roma (1p)

A Bologna sono le quattro del pomeriggio e fa un caldo che ti s’attacca addosso. Rocco ha le tasche piene di monetine che deposita regolarmente nelle fessure dei distributori automatici di bibite che incontra sul percorso. La carrozza n.1 ovviamente è l’ultima del convoglio e per salirci bisogna quasi arrivare a Modena sud.
Il biglietto-tovagliolo delle FS dice che il posto prenotato è il 103, ma non fa a tempo a sistemare il saccone che un vecchietto con un sano accento siculo gli propone di scambiare il 103 col 74, perché è stato separato dalla moglie… Le maniere brutali delle FS sono riuscite in quello che tanti anni di matrimonio non erano stati capaci.
Rocco, che si è già guardato attorno e non ha trovato trippa per gatti, si sposta dal compartimento 10 al compartimento 7, così come si compra un altro biglietto alla lotteria della befana, dando persino l’impressione al vecchio di aver compiuto una buona azione.
Prende posto al 74 dopo aver scaricato il pesante fagotto. L’espresso viene da Milano e la squadra della cuccetta C6, l’unica nella quale sia stato possibile trovare un buco, è quasi fatta: Rocco, una signora più anziana ma non ancora scartabile che ha tutta l’aria di essere una prof sgallonata, un signore riservato e/o scoglionato forse dal viaggio o dai casi della vita, due ragazzi che non trovano di meglio da fare che spararsi nelle testa musica atroce, a tale volume che i bassi arrivano alle orecchie di Rocco e gli scompigliano i pensieri…
I due trovano pure il tempo di scambiare qualche battuta del tipo: (nonostante gli sforzi non ne ricordo una, suggerimenti please)
Rocco ha qualche problema con signor Malaussène e scarica sui due ragazzi la colpa grave di non riuscire a cogliere il ritmo di Pennac. Le gallerie che si rincorrono di certo poi non aiutano la lettura.
A Prato sale il sesto uomo che, a giudicare dalla statura, potrebbe anche aver pagato la tariffa ridotta. Rocco si presta con la valigia, visto che non è il caso di far salire il nano sulla scaletta, anche se magari questo lavora al circo Togni ed è un acrobata con le palle!
La sosta si prolunga e il getto d’aria condizionata si trasforma in un fiacco soffio asmatico lasciando il campo all’afa pomeridiana che avanza in accerchiamento. Finalmente si riparte e si presenta pure il vetturino, un personaggio da film: ricorda nei modi e nella parlata Luciano Salce, c’ha anche la bocca storta. Dice, in un italiano buro-siculo-ferroviario, che a lui non frega niente se ho cambiato biglietto con quello della cabina 10, tanto i biglietti li prende tutti lui e ce li ridarà all’arrivo, e poi lui sarebbe il vetturino della carrozza n.2 e se lo vediamo sulla n.1 è solo perché il suo collega è in ferie.
A Firenze Rocco chiede alla prof, che nel frattempo s’è capito provenire dal varesotto, una delle sue riviste culturali; tra Chi, Gente e la Settimana Enigmistica, la scelta è spinosa. Decide di farsi una full immersion nel jet set cinefilo-politico-papponico, tra baci rubati, corpi esibiti e crisi esistenziali a bordo di yacht chilometrici, quando si ritrova solo nello scompartimento. Il silenzio, la solitudine gli da più fastidio del casino e non tarda ad uscire pure lui nel corridoio affollato.
Il convoglio si ferma a Chiusi - Chianciano Terme, una sosta di pochi minuti ma che a molti pare più che inopportuna, fintanto che la folla pigiata non vede, come in un’apparizione miracolosa, Valeria Marini o il suo cartone petrolifero salire sul vagone. Rocco getta la testa fuori dal finestrino, come un pesce volante sull’acqua, e non crede ai suoi occhi: i due milanesi hanno lasciato l’hard rock e stanno aiutando la Marini e la sua damigella con i bagagli, a salire la scaletta e a farsi largo nel corridoio, tra occhi rapiti e mani trattenute a stento. “Sti mocciosi, altroché pirla…” si lascia sfuggire Rocco. “Come?” domanda il nano alzando il naso verso lo zenit. Dalla sua mole, lui non lo caga neppure, che deve seguire l’entrata in scena della vamp, che avanza con andatura pomposa stretta nell’aderente e sfuggito tubino bianco a fiori nelle varie sfumature di grigio, e anche dagli sguardi interessati di tutti i maschietti del treno.
Rocco sgama che i quattro si conoscono e che vorrebbero sistemarsi nella stessa cabina, ma la dama di compagnia ha un posto nella 8 e Valeria nella 6.
Da vicino si capisce che trattasi della versione baby della vamp, diciamo prima del successo? Comunque le misure, le movenze e … pure la voce stridula sono le stesse. Lei si pone subito a capo della comitiva e afferma con sicurezza che poi chiederà a qualcuno di cambiare di posto in modo da passare tutti assieme la notte.
A Rocco certe visioni muovono la vescica e, siccome aveva sentito i due ex-pirla parlare di un solo cesso funzionante, chiede a uno dei due dove è il caso di tagliare la folla brulicante.
Al ritorno in cabina il signore scoglionato e pure il nano, con tanto di valigie al seguito, non ci sono più; al loro posto le due bionde.
I giovani non solo si conoscono, ma si scopre che uno dei due ragazzi è fratello della Valeria e l’altro il suo ragazzo (?!), mentre l’amica pare avere qualche mira sul fratellino della vamp…
La Marini possiede notorie doti persuasive, ma i rapporti col vetturino restano difficili, che a lui non importa nulla degli spostamenti dei viaggiatori, basta che gli consegnino biglietto e prenotazione. E comunque lui è responsabile della carrozza n.2 e se lo vediamo su questa è solo per fare un piacere ad un collega in ferie… La tipa resta col biglietto-tovagliolo in mano, si guarda attorno stupita, poi, siccome tutti fanno la faccia rassegnata, con un’alzata di spalle ripone la carta nella borsetta.
Rocco apre e richiude subito il povero signor Malaussène, che nel frattempo, con tutti quegli scambi da calcio-mercato estivo, s’è tutto spiegazzato. I quattro fanno tanto fracasso che non si riesce a fare altro che seguire i loro discorsi. Poi inizia a piovere: certo nello scompartimento 7, nonostante fuori il sole inondi tutto il creato, cadono gocce di te; alla pesca per la precisione. “Ma no dai… è solo la condensa!”. I pirla hanno portato delle bottiglie di te ghiacciato ed hanno giustamente pensato di posarle nella mensola più alta, proprio sulla testa di Rocco. Quest’imprevisto mette appetito ai giovani che, cercando di far terminare la pioggia, ne approfittano per aprire altri fagotti pieni di cibarie: circa la metà delle valigie è piena di cose da mangiare: patatine, panini, tramezzini, merendine, torta della nonna, ecc.
“Signore” vuole anche lei qualcosa?” chiede inaspettatamente la figona.
Rocco prima maledice il barbiere che gli aveva giurato che il taglio corto ringiovanisce il volto, poi risponde che no, non ha fame, con questo caldo… semmai qualcosa da bere. “Abbiamo acqua minerale gasata e non, te alla pesca, al limone, anche verde, succhi di frutta…” elenca diligentemente il cucciolo. “Ecco… un succo grazie” taglia corto Rocco che non riesce a scacciare il sospetto che lo stiano prendendo per il culo.
“Alla pera, alla pesca, all’albicocca… c’è anche al tropical vero?” insiste il fratellino.
“Alla pesca va bene” risponde acido Rocco, tanto che il ragazzo non dice più nulla e gli porge il tetrapak con la cannuccia.
Mentre Rocco succhia il succo con la cannuccia che gli diventa sempre più corta al diminuire del liquido, gli altri allestiscono un vero e proprio banchetto; pure la prof non rifiuta una fetta di torta. Rocco si sente escluso, si pente di essere stato villano e di aver pensato quello che ha pensato; questi sono pischerelli, non lo fanno con cattiveria. “Che avete svaligiato l’Esselunga?” prova a rimediare il bellimbusto che ha trascorso qualche tempo a Milano, sopravvivendo grazie alle insalate prelavate e miscelate dalla catena di distribuzione alimentare. La battuta funziona tanto che prima di riporre le cibarie la vamp, che appare sempre più come il capo banda, insiste: “Lei è sicuro di non volere assaggiare neppure un pezzetto di dolce?”.
Le ombre della sera hanno risvegliato le luci elettriche che si riflettono su lunghe strisce metalliche e sporchi vetri temprati. Sono fermi da un po' alla Tiburtina dove forse attaccheranno altre carrozze, non ci sarebbe nulla di meglio per ingannare l’attesa che fare quattro chiacchiere, ma quel lei, anche se viene dopo il signore, frena l’entusiasmo di Rocco.
“Sicuro, grazie; più tardi mangerò il panino che ho portato”.
Non appena ripartiti ecco di nuovo il vetturino che subito si rivolge alla signora prof per chiedere un favore. Intanto Valeria riprende in mano il suo tovagliolo nella speranza di risolvere il caso; i dialoghi s’intrecciano, gli animi già surriscaldati prendono fuoco. La scena è proprio da commedia all’italiana con la battuta fulminante del vetturino rivolta alla signora “Ma lei femmina è?”. Questa si guarda attorno e cerca conforto, se non proprio conferme, ma trova solo volti inebetiti. Il tipo capisce di averla detta grossa, allora prosegue: “Dunque lasciatemi spiegare senza interrompere, ci sarebbe il qui presente signore che per l’appunto è salito alla Tiburtina senza prenotazione, cosa che non si dovrebbe mai fare… ma comunque fortunatamente sarebbe disponibile un posto nella cuccetta C4 confort; disgraziatamente è occupata tutta da femmine e lei capisce bene… allora io chiedo, per conto del signore s’intende, la cortesia di scambiarvi di posto. Ah beninteso il signore è disposto ha pagare la differenza del prezzo del biglietto, e poi lei starà più comoda che qua” termina la sua omelia guardandosi attorno deformando ancor di più la bocca come se solo allora s’accorgesse della trascuratezza dell’allestimento.
La prof dice che non ha nulla in contrario, basta che qualcuno le porti i bagagli, inoltre vorrebbe pagarsi la differenza, visto che lei si godrà il maggior comodo e non il signore. Mentre il signore si affaccia dalla porta e volenteroso prende i bagagli della prof, la Marini riesce finalmente a farsi esaminare il tovagliolo e, con un bel buco di controllo, lo ripone definitivamente nelle mani del vetturino.
Il nuovo arrivato in realtà viene da Torino dove lavora da anni come autista fornitore e se ne sta tornando dalla famiglia a Palermo per trascorrere le ferie. A Rocco non va proprio giù che l’abbiano chiamato signore, perché a guardarlo bene pare più giovane…
Intanto qualcuno dei ragazzi ha tirato fuori le carte e, sbrigate ormai tutte le formalità culinarie-burocratiche-ferroviarie, tutti si sentono rilassati e pronti al gioco. Dopo una briscola maschi-femmine e un’altra a coppie invertite, dove non s’è riuscito mai a capire chi avesse superato i 60, qualcuno propone di cambiare gioco e tira fuori delle strane carte tutte colorate.
Si cerca di coinvolgere anche i signori: il fratellino si occupa dell’autista fornitore e la sorellina, forse solo perché gli è seduta accanto, di Rocco. “Vuole giocare anche lei” chiede sbattendo gli occhi come una bambolina di porcellana.
Rocco che ormai non riesce a distogliere lo sguardo da quell’involucro bianco fiorato, si gioca le sue carte: “Volentieri, se però lasciamo perdere il lei che m’imbarazza. Il mio nome è Rocco”.

Si, ha detto proprio così st’impunito…

sabato 17 ottobre 2009

20 giugno GUARDA - MIRANDA DO DOURO

Sulle orme di Josè Saramago

Incredibile! Devo cercare il sole. L'aria è talmente frizzantina che il mio naso trova conforto nel fazzoletto di carta. Uscito dal museo di Guarda (poche cose se si esclude una madonna con bambino di "granito policromato" che, fin che non la tocchi, non ci credi...). Mi sono svegliato alla solita ora e ho fatto colazione nel ristorante. Mi è venuto incontro un cameriere basso, ne giovane ne vecchio, dicendomi che era self service, poi rimettendosi a parlare, ad un tavolo, con un signore distinto.
"E' il signor Guerra?" avrei voluto chiedere... ma poi, se lo fosse stato, come andare avanti? e se non lo fosse stato, sarebbe nata una poco edificante commedia... Insomma ho mangiato e ho saldato con VISA. Un altro cameriere mi porta la valigia alla macchina.
E' piacevole girare col fresco per le strade di Guarda, ma forse è bene tornare nella Sè per vedere meglio il retablo dell'altare maggiore. L'opera è imponente, ma priva di slancio. Devo segnalare, appesi alle finestre, delle ragnatele nere come la notte, toglierle non è impresa da poco, lassù nel cielo...

Finalmente mi risiedo sempre sulla panca di una chiesa, come i barboni di De Gregori, senza fumare però. E' la Sè di Torre de Moncorvo, ormai Tras-os-Montes. Tanta strada ho fatto e tanta ne ho ancora da fare prima che scenda la notte. E' forse la tappa più lunga di questo viaggio, sicuramente la più tormentata, per via delle curve, delle montagne e dei fiumi.
Questa volta l'aria sotto le volte è pregna di un laico Fabello (quello che lucida nuovo e bello) espanso a larghe mani da una donna scalza sull'altare laterale che pulisce tutto quest'abbandono. Pulire una Sè sembra una sciocchezza... invece non lo è, provare per credere.
Guardando bene, le donne sono diverse, almeno cinque e si fanno coraggio, che la chiesa e grande e la polvere tanta. Quest'odore poi, oltre che far bene al legno, stimola i pensieri su vie incerte e anomale: quel che ho scritto ne è una prova.


Questa è una delle crociere centrali, sorretta da gigantesche colonne cilindriche. Le tre navate hanno stessa altezza, fino a creare uno spazio a "stanzone" per nulla interessante.
Mi sono spostato sul sagrato, dove un lungo sedile di pietra forma una panca che gira tutt'intorno alla chiesa.
Il sole ormai non scotta più e ne approfitto per riassumere il tragitto da Guarda fin qui.

Sono passato per Almeida, una città-fortezza, ormai fuori dal mondo, come certi paesini da trenini elettrici, con l'ufficio postale, le facciate immacolate, la torre dell'orologio sulla piazza, i giardinetti, le logge coi tavolini del bar, tutto perfettamente pulito e lindo, anche perché manca proprio la ferrovia...
Ho proseguito per Castelo Rodrigo, ancora più in abbandono, se non fosse per i lavori di restauro e adattamento, ma, se per questo, era meglio per lui che se lo fossero dimenticato completamente.
Poi mi sono avventurato per una stradina tra i campi che porta al convento di Aguiar, dove l'uomo della chiave mi ha pedinato/scortato, urlando, nella sua lingua, una tiritera essenziale per lo straniero, condita da tanti muy bonito, tanto per essere internazionale. Se si aspettava un premio, è rimasto deluso: il viaggiatore ha continuato il suo cammino.
Per arrivare qua a Torre de Moncorvo ho attraversato e riattraversato il Douro, fiume imponente che in Italia manca.

Anche la facciata arcigna di questa chiesa manca da noi, con questa enorme torre campanaria che è tutta la facciata; una lunga serie di "birilli" scandisce le sedute di pietra e non potrebbero, anche loro, che essere fatti delle stessa materia.
E' tardi, mi devo rimettere in moto per la meta finale di Miranda do Douro e sono forse solo a metà strada.
Peccato perchè la cittadina pare interessante, con una sua vita dai ritmi calmi e blandi, ma certamente vari.

Mogadouro è invece solo una tappa per qualche foto ad un asino o ad un mulo (la competenza del viaggiatore non è all'altezza dell'ambiente agreste) che cerca qualche filo verde fra le rovine di una vecchia torre, la stessa del pittore-ragazzo dello Spagnolo. A dire il vero, anche oggi c'è un pittore, che certamente una volta è pure lui stato ragazzo, ma non avevo ancora letto l'episodio e quindi aggiungo la chiosa a posteriori.
La strada è lunga e interminabile, poi, per una strada finalmente dritta, sali e scendi decisi, si arriva finalmente a Miranda.
Cerco subito alloggio e lo trovo bello ed economico; ancora una volta si chiama Turismo. Solito relax con doccia e superquark inedito per queste parti. Da fuori giungono i goals del Portogallo che deve aver sommerso i tedeschi a giudicare dalla frequenza dei boati. Esco per la cena, ma sia nella parte vecchia (di la dal ponte) che nella nuova non c'è nessun ristorante aperto; questa sera non si tratta di essere schizzinosi o difficili.
Qui in alta montagna, zona di confine per giunta, la notte cala prematura e rapida, tutti si adeguano tranne il turista che vorrebbe trovare locali notturni e attrazioni quasi fosse a Lisboa. Siccome invece non ci sono altri svaghi e tutto pare morto, eccetto qualche lieve e scomposta esultanza per la vittoria calcistica, il viaggiatore se ne torna mestamente e leggermente in camera (n°309).

domenica 11 ottobre 2009

19 giugno VISEU - GUARDA

Sulle orme di Saramago

Sono seduto su una panca della Sè; guardo le volte a crociera e i pilastri nervati, i muri perimetrali messi a nudo dagli uomini, se non dal tempo... e ascolto una musica soave (forse Bach) che esce dagli altoparlanti e rimbalza contro le pietre che prima ho detto. C'è una bell'atmosfera, anche con il cantiere del chiostro vicino e gli operai che parlano e le cose che cadono. Ho saldato il conto all'hotel, dopo colazione, e mi sono avventurato con la Clio su per le pietre grezze della città vecchia, che pare un tutt'uno col suolo gibboso. Ma poi non ho trovato un parcheggio e sono ridisceso al Rossio.
Oggi il cielo è in gran parte velato e l'aria è ancora fresca. Girando la Sè, non riesco a vedere il battistero, nel transetto di destra, perché è chiuso da una grata di ferro. Se avessi con me la pila che ho in valigia, ne avrei giustificato il peso aggiuntivo. Vedo invece i nodi nelle nervature centrali del transetto (volte) e decido che la musica è di Vivaldi.
L'altare centrale o maggiore è degli anni '90, opera di un certo Luis Cunha, che non meritava di essere citato, ma si devono citare anche gli orrori (ci sono piramidi in ogni vista ortogonale!) e sperare che non si ripetano, pure in questa Terra così ricca di bravi architetti.
L'aria diventa nota; peccato non conoscere la musica per trascriverla. Come potrò fidarmi della memoria per trovare conferma alle mie supposizioni? (infatti, tornato a casa, per quanto mi sforzi, non ricordo neppure un pezzetto di quella soave armonia).
Nel chiostro gli uomini con idropulitrice, spazzole e acqua nettano le pietre dai muschi e dalle macchie del tempo. Al primo piano altre persone riparano o rifanno il soffitto a cassoni della loggia. Le forme del chiostro sono rinascimentali italiane, anche se qua i tempi non corrispondono. Altro non è visibile causa i lavori in corso. Così non ho corso il rischio di incontrare la guida, abilissima nei giochi di parole e in sciocchezze, che tanto aveva intristito e incupito il Viaggiatore.
Essendo lunedì, il museo Grao Vasco è chiuso (avevo avuto una bella idea ieri...) e dunque non resta che riprendere l'auto (anche perchè il biglietto orario sta' per scadere).

Alle 13 sono seduto nella Clio in un parcheggio nel Rossio di Mangualde. Sono arrivato qua dopo immemorabili peripezie poiché i cartelli stradali, si insomma le segnalazioni viarie, sono evidentemente un'opzione sulle strade locali, in quanto si suppone che i locali sappiano cosa fanno e dove vanno, a differenza dei turisti, che per loro ci sono le autostrade!
Vorrei mangiare, visto che il paese offre ben poco dal punto di vista artistico (la mappa dell'officina del turismo è una fotocopia artigianale di chissà quante altre copie, prima di risalire alla mappa originale...); ma l'unico locale che mi garba è pieno di gente, evidentemente in pausa di lavoro. Allora do' fondo alle mele di Ovar e riparto. Mezz'ora dopo però mi fermo all'entrata di Gouveia, alla trattoria "A Brasa" cucina regionale, che, fino ad impugnare la maniglia dell'ingresso, temevo potesse trattarsi solo d'un miraggio. Scelgo il "plato del dia" perché ho premura: caprito au forno con patate e riso. Sarà la fame, ma va giù di gusto; peccato che non posso annaffiarlo col vino, dovendo ancora guidare fino a Guarda. Il tutto poi, compreso il caffè, per soli 1000 scudi.

Sono seduto sulle mura del castello di Linhares e, invece del magnifico panorama dei monti e delle valli, racconto di come mi sono riempito le budella!
E' una giornata strana, c'è caligine e le nuvole si alternano al sole, le rondini volteggiano caotiche sopra i resti del castello. Il paese è quasi come una volta; anche gli abitanti lo sono: nei loro vestiti fuori moda. Voglio scendere a vederlo meglio. L'ho attraversato in auto, ma poi mi sono pentito e quasi vergognato di vederlo così, su quattro ruote: queste sono strade fatte dall'uomo per l'uomo; allora ho posteggiato fuori del paese, come una volta facevano tutti i forestieri col loro carro o cavallo.

Questa all'incirca è la pianta della Sè di Guarda. Rispetto quella di Viseu, identica nelle tre dimensioni spaziali, questa è goticamente aspirata verso l'alto. C'è un'aria ammuffita come in certe cantine, solo che manca l'odore profano del vino, sostituito da quello delle candele, forse sacro ma non altrettanto piacevole. I sei altari laterali sono chiaramente successivi e d'ispirazione rinascimentale. Nell'insieme in ogni modo l'atmosfera sembra ancora quell'originaria (luce compresa). Ho fatto il giro da fuori per descrivere il perimetro esterno, ma non è facile coi lavori in corso. Così sono finito seduto nel tavolino, molto instabile, di un bar sotto un portico a sorseggiare una cerveja. Ai tavoli molti giovani; ne ho visti tanti all'arrivo in città, come all'uscita da una scuola. Dovremmo però essere fuori stagione e fuori fascia oraria... ci sono tavoli di soli maschi e tavoli di sole femmine, ma anche qualche comitiva mista.
Poche persone di colore fino ad ora; invece anno scorso, al sud, ne ho incontrate molte. Una di queste poche pregava e piangeva in Sè, incurante degli sguardi interessati; poi all'uscita c'era un'auto che l'aspettava, con un bianco alla guida.
Torniamo alla Storia: di fronte ad un D. Sancho I di bronzo con una plastica degna del periodo brezneviano. Il portico invece è una specie di "sottoportego" veneziano, alto poco più di 2 metri, sorretto da colonnine di granito, in un ordine architettonico indefinibile, ma che vorrebbe essere classico. Pure loro avrebbero bisogno delle cure degli uomini con acqua e raspini che faticavano stamattina nel chiostro di Viseu.
Sono quasi le 19 e non ho voglia di trovarmi un alloggio per la notte. Ho già visto sulla strada quello prefissato, ma mi pare troppo costoso e fuori mano. Osservo un tale, non più giovanissimo, che da' da dire a tutte quelle che passano, basta abbiano un po' di fisico. Il cameriere è un ragazzo pettinato alla Tin-Tin. Insomma la birra è finita, è l'ora di andare.

Quello che avevo visto, all'ingresso della città, era solo un cartello, l'hotel è molto più vicino al centro ed inoltre non è caro. Certo denuncia un po' i segni del tempo, ma conserva un certo fascino. Le camere sono vetuste, ma pulite; la piscina invece è quasi uno stagno, di un colore verdastro. Peccato. Nella stanza 323 c'è pure il terrazzo e la TV con RaiUno e RaiDue. Arrivo giusto in tempo per la partita Italia-Svezia; mi stendo sul letto e mi rilasso. Nell'intervallo faccio una doccia tonificante. Intanto l'Italia vince 2-1. Mi vesto pesante, perchè siamo a più di 1000 metri di quota (con tutti questi saliscendi non mi ero reso conto della cosa, fino a quando, in bagno, non ho sfogliato la guida: la più alta città portoghese!) e vado a mangiare in un locale che ho adocchiato oggi pomeriggio.
Volevo provare anche il ristorante dell'hotel de Turismo, perché penso sia quello del Viaggiatore imprudente, quello della storia del capo-cameriere e della sorella morta a 7 anni, ma non ne sono sicuro; e se fosse morto anche il cameriere?
Al Belo Horizonte mangio cose d'altri tempi (Chourizada à Regionals) tanto grasse, perché allora non c'era il riscaldamento e si lavorava sodo. Non contento, finisco pure con una mousse de chocolate.
Cammino un poco per digerire, ma è davvero freddo e non vorrei bloccare l'intestino, che ha già qualche serio problema a legare il porco col cioccolato!
In camera ho 23°C; stanotte dormirò beato!

sabato 3 ottobre 2009

18 giugno AVEIRO-VISEU

Sulle orme di Saramago


Oggi pare una giornata decisamente più fresca (24.5°C nella stanza). Sono nel chiostro dell'ex monasteiro de Jesus, ora museo di Aveiro. Tira un'arietta fine che solo ieri non osavo neppure immaginare. Il museo di domenica non solo è aperto, ma gratis.

Mi sono svegliato bene questa mattina: fresco e riposato. Ho fatto colazione "continentale" in albergo, un hotel che ha visto tempi migliori, forse sotto la dittatura? ma che conserva comunque il fascino del tempo. La sala è tutta in legno e scricchiola come l'interno di un brigantino. Le cameriere sono anziane e tante per i clienti del giorno, le loro divise vecchie, i modi desueti. E' un posto dove non si faticherebbe ad immaginare, seduto ad un tavolo, la faccia abbattuta e spenta del Pereira di Mastroianni. La facciata settecentesca invece è davvero bella e ben conservata.
Per le strade quasi deserte mi diverto a scattare qualche foto. Osservo la gente uscire dalla funzione nella chiesa della Misericordia. La facciata con portale manuelino e azulejos è davvero bella, ma non è esposta bene al sole, non so se la foto sarà proponibile. Osservando attentamente le facce e i movimenti dei fedeli, intuisco, o mi pare d'intuire, che questi portoghesi assomigliano agli italiani di 20/25 anni fa'. E' una sensazione che non trova ragioni plausibili, ma spesso le impressioni di pelle sono anche le più giuste.

Poi, invece di tornare al Campus a distanza di 5 anni, il sole a picco mi fa decidere per le spiagge.
C'è una lunga lingua di terra tra il mare e la laguna (la chiamano Costa Nova), con tante villette allineate disegnate dagli architetti locali, ma ci sono anche esempi speculativi e casette di pescatori; queste ultime sono le più caratteristiche con le doghe verticali in legno colorate alternativamente in bianco e rosso o verde o blu o ... Ritorno con la mente allo scorso anno, a Peniche, a Nazarè, a Figueira da Foz.
Prendo un campione di sabbia, abbastanza chiara, per la collezione. La spiaggia è dietro una duna che però non impedisce la vista del mare ed è poco affollata. Lavo una mela sotto il doccione rimasto aperto al massimo e la mangio, gustandone il sapore aspro. Non è il caso di fermarsi, e proseguo per Ilhavo.

Qui dovrei visitare il museo navale che però è chiuso per ristrutturazione e ampliamento. Il museo della ceramica sarebbe invece aperto, ma sono io che non sopporto la ceramica: salto sempre le bacheche e le vetrine nei musei e pensare ad un museo solo di ceramica mi fa star male.
Passo per Agueda quasi senza fermarmi, sono attratto dalla serra di Caramulo. Il paesaggio è davvero inaspettato e l'odore di resina impregna l'aria calda. La strada diventa sempre più tortuosa e sembra di salire senza fine e meta.
A Caramulo c'è solo qualche albergo per la villeggiatura termale e il museo. Oggi non è giorno di musei e non entro neppure in questo: forse perché la sede ha un aspetto kitsch e temo la fregatura. L'ex-sanatorio (ma sarà vero?) è quasi deserto. Il tempo sembra scorrere lento o scorrere affatto; certi scorci sembrano brani alpini, l'aria è pura e ossigenata.
Scendo a precipizio, così come sono salito con lentezza, aggirando la massima pendenza, verso Tondela.

E' un'ora che non si presta a pensieri; se faccio presto posso arrivare a Viseu in tempo per visitare qualcosa.
Ma la città è tutta un cantiere e quindi non posso che perdermi. Ormai è tardi per le visite, allora cerco alloggio, ma non c'è un'indicazione e l'avventura continua... infine trovo una residencia al Moinho de Vento ***, nome evocativo, ma poco rispondente alle aspettative.
E' nella stanza 206 che scrivo queste righe (dall'uscita della gente dalla chiesa della Misericordia). Sono le 23 e sono stanchissimo; inoltre non ho cenato. Il Viaggiatore forse mi ha suggestionato con le sue remore non esplicitate, o forse non era cosa... insomma, se anche a me Viseu ha riservato solo dispiaceri, questo non deve essere un caso e allora, dribblando gli elzeviri del Viaggiatore, affermo direttamente che l'ospitalità deve essere sconosciuta in questa landa.
Stasera almeno l'A.C. funziona; ciò non toglie che non riesco a fare scendere il termostato sotto i 26.5°C. Vedo in TV la sintesi del GP, con la doppietta Ferrari, indi dormo beatamente.