domenica 7 febbraio 2010

L'abito non fa il monaco, ma ripara dal freddo (2a parte)



Gli occhi grigioverdi di una donna guardavano dal finestrino sporco il verde circostante. Nel vagone c’era aria di chiuso, i tendaggi polverosi e la stufa tirata a mille rendevano l’aria irrespirabile. Forse per questo, forse perché era una bella giornata, forse perché in quel punto la ferrovia saliva a mezzacosta ed offriva un panorama meraviglioso (ma perché poi si deve sempre trovare un perché?), la donna aprì il finestrino, respirò profondamente, appoggiò le braccia al telaio di ferro, i gomiti appuntiti sbiadirono il golfino primaverile, il petto schiacciato contro il vetro freddo, lo sguardo verso quella meraviglia. Dunque i suoi occhioni grigioverdi con lunghe ciglia castano chiaro, colore dei ricci di castagne secche, roteavano, zigzagavano puntando qua e là mentre il treno correva. Correva, ma non troppo, poiché la salita era impegnativa. Come due mosche chiuse in un barattolo di vetro queste palle grigioverdi schizzavano secondo traiettorie imprevedibili, ma sempre racchiuse tra le pieghe delle palpebre. A queste traiettorie repentine corrispondevano, come collegate da un gigantesco ed invisibile pantografo, altrettanti punti, oggetti, piante, animali osservati. Tra queste cose ad un certo momento capitò un pescatore che stava pescando in un ruscello e l’immagine non durò, come le altre, pochi secondi poiché il treno arrancava e proprio quando la carrozza della donna dagli occhi grigioverdi racchiusi da due linee allungate era sulla chiave del ponte, emettendo un grande sbuffo vaporoso, si fermò.

La donna subito si occupò di capire cosa stava succedendo, ma il controllore la rassicurò dicendo che la linea era impedita, c’era il rosso. Si può comprendere allora come la donna avesse tutto il tempo per osservare meglio quel pescatore vestito di tutto punto e con il basco vermiglio.

Senza neppure sforzarsi tanto vide subito in lui l’abile pescatore, il grande cacciatore, il famoso esploratore, insomma l’uomo che vive di caccia e di pesca e che, con questa unica attività, riesce a sfamare una intera famiglia, piena di piccoli affamati di tutto. Un uomo così poteva permettersi i figli che voleva, e pure le donne... Chissà quante avventure poteva raccontare, quante volte aveva sfidato la sorte avversa, in quante occasioni aveva portato a casa la pelle per un soffio...

In quel momento Ugo entrò nel torrente, fece qualche passo fino a che l’acqua gli lambì l’orlo degli stivali, poiché voleva provare ad arrivare nella pozza più a valle, ma gettando da dietro il gengone senza farsi vedere. Prese questa iniziativa anche per dare sollievo ai piedi che, imprigionati da diverse ore in quei blocchi di gomma, gli si erano gonfiati.

Alla donna dagli occhi grigioverdi quasi orientali sottolineati dagli zigomi sporgenti, questo gesto sembrò della massima audacia, come di colui che osasse guadare un fiume in piena. Sentì freddo per il pescatore e si rifugiò per un attimo dentro allo scompartimento, seduta ma con il naso appiccicato al vetro. Si abbracciava i gomiti acuti e un brivido le corse giù per la schiena. In quel momento per il pescatore sentì anche dell’altro: una sorta di ammirazione, si stima, di invidia, di innamoramento... (macchè figuriamoci!) .

Ah perché il suo uomo non andava mai né a pesca né a caccia! ed ora, che aveva perso il lavoro a seguito dell’invenzione dell’automobile, se ne stava sempre chiuso in casa a fare niente e se usciva era solo per andare a bere all’osteria o al ritrovo dei fannulloni? Perché non lo sfiorava minimamente la voglia di cercarsi un nuovo lavoro adatto ai tempi nuovi, il desiderio di darsi da fare in qualsiasi modo per mandare avanti la famiglia, di dare una sterzata alla loro esistenza, di cercare almeno il gusto dell’avventura?

La donna dagli occhi grigioverdi allungati, dagli zigomi forti e dalla bocca contornata da labbra sottili, identificò in quel pescatore con gli stivali immersi nell’acqua gelida tutto quello che il suo uomo non era, non era mai stato, e mai sarebbe diventato. Vedeva in lui un insieme di doti, di caratteristiche , di attributi che aveva sempre richiesto ad un uomo, ed il pescatore le pareva che se le portasse addosso, appese come le palline all’albero di Natale, ed ogni tanto brillavano ad intermittenza, bastava battere per un istante gli occhioni grigioverdi.

Spostando lo sguardo sulla borsa a rete con la spesa fatta al mercato della piazza dell’orologio non poté fare a meno di pensare ai suoi bambini, alla loro fame insaziabile, alla loro voglia di vivere. In loro riponeva tutte le sue residue speranze; mentre gli anni passavano riconosceva che loro erano stati l’unica promessa che la vita le aveva mantenuto: erano sani, belli, biondi come lei, in loro ora specchiava i suoi desideri. Sulla faccia del suo uomo invece rifletteva la sua rabbia, la sua paura, la sua angoscia. Ed ora cosa rifletteva su quel pescatore? Ci pensò un attimo, ma non seppe cosa rispondersi, rimase turbata, non riusciva a stare con la testa nella carrozza ferroviaria, la sua memoria frullava vorticosamente nel gorgo dei ricordi giovanili: l’infanzia nel freddo maso del nonno, l’adolescenza all’istituto professionale della valle sola fra tanti uomini, i sogni di diventare segretaria, i primi fidanzatini e il brusco risveglio con un figlio in pancia ...

Qui si interrompevano improvvisamente i suoi ricordi; il tempo di guardarsi distrattamente le mani lunghe da signora rovinate dal tempo, dal gelo e dalla terra, di rigirarsi tre volte attorno al dito la fede e ricominciavano di nuovo con altre scene, altri volti, altre luci, ma dello stesso periodo di tempo. Quella che pensava non era la donna, ma la bambina con gli occhioni grigioverdi, la ragazzina dagli zigomi rotondi che gli spuntavano in contemporanea coi seni (anch’essi rotondi e forti), la ragazza che tutto il paese guardava come si guarda una bellezza rara, la giovane a cui tutti non faticano a predire un radioso futuro e un matrimonio importante.

Stava ricominciando un altro giro di ricordi quando laggiù il pescatore all’improvviso si animò, lei si alzò in piedi per vedere meglio. Il pescatore puntò saldamente gli stivali nel greto del fiume, le gambe divaricate, il bacino in avanti ed il busto leggermente flesso indietro, la canna saldamente tra le mani. Questa canna si fletteva a movimenti alterni di pochi secondi, ogni volta di più; negli intervalli il pescatore raccoglieva il filo, la frizione del mulinello strideva. Quando sembrava sul punto di rompersi, vibrò violentemente poi la curvatura si addolcì ed uscì dall’acqua una grossa trota argentea che si dimenava portando la coda quasi sul muso con rapide frustate, ma ormai non poteva sfuggire trovando l’aria al posto dell’acqua.

In quell’attimo mentre la pelle squamata, ma tirata fino a scoppiare rifletteva di luce nel sole primaverile come una posata argentata, il treno diede uno strattone poi lentamente si mosse. La donna lasciò le sue sfere grigioverdi sul pescatore e sulla trota ancora vibrante di vita fintanto che tutto non sparì dietro una macchia verde; le sue mani grandi ed affusolate rimasero attaccate al vetro per un tempo maggiore...


(continua)

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