sabato 31 ottobre 2009

Espresso 823 “freccia del sud” Carrozza 1 compartimento 7 Notte di San Lorenzo (2p)

Roma - Napoli (2p)


Si, ha detto proprio così st’impunito…

“Io sono Marina” dice pronta la vamp sorridendo a Rocco. Lui non riesce a non pensare: “vuoi vedere che fa Valeri di cognome?” Poi si fa il giro completo dei nomi di battesimo che, siccome il presente racconto non è stato scritto subito dopo gli eventi descritti, se ne sono andati con le notti insonni siciliane della voce narrante. Chissà perché solo uno è rimasto e non è detto che sia quello vero…
Insomma chiamiamoli con dei nomi presi dal calendario, che tanto tutti provengono da un tempo precedente all’era delle TV series: Michele il fidanzato, Marco il fratello, Francesca la dama di compagnia e Alfio, che in Sicilia va tanto, l’autista fornitore.
“Sapete giocare a Uno?” chiedono i ragazzi. Rocco si sente ancora fuori posto, dato che Alfio, a sentirlo, sembra il campione siculo-piemontese di Uno.
“Michele, spiega al … a Rocco come si gioca” dispone decisa Marina con quella sua voce che rovina tutto il resto. Michele è un vero disastro nelle spiegazioni, nelle costruzioni verbali e nella logica, nonché nel tenere le carte; il ragazzo deve possedere chissà quali altre doti per incantare una tale bellezza…
“Forse è meglio fare un giro di prova” interviene in soccorso Francesca che pare una altrettanto sicura del fatto suo. “Certo, vedrai che non è difficile” rassicura Marina a Rocco.
Il passaggio al tu ha gasato il dongiovanni che, guardando dentro gli occhi della ragazza, risponde: “Okay” e sta quasi per aggiungere “pupa”, ma si trattiene.
Manca la tavola per riporre il mazzo e scendere le carte; sembra un grosso problema, tale da scombinare la comitiva appena formatasi, ma infine Marina trova la soluzione: si tende l’abito allargando leggermente le gambe e, sistemandoselo sapientemente sul sedile, esclama entusiasta della trovata: “Ecco fatto, mettere qui”.
S’inizia il gioco ed in breve s’imparano le regole, se non i trucchi, per raggiungere lo scopo, che è quello di finire tutte le carte. Ci sono semi di vari colori e carte speciali che costringono, chi le riceve come scarto dal vicino, a compiere determinate azioni che non vorrebbe compiere: prendere altre carte dal mazzo, saltare il giro, invertire il verso della giocata, cambiare colore, ecc.
Si può poi anche bluffare e infine bisogna ricordarsi di dichiarare l’ultima carta, gridando “Uno”, non appena scartata la penultima.
Si comprende pure che il gioco è lungo; allora si decide di interrompere la prova e di passare al gioco serio. Non ci vuole molto perché Rocco e Marina ingaggino una lotta personale, fatta di carte speciali e sguardi sospetti: prendi quattro carte, tiè; a sì, allora salta il turno; d’accordo, inverto il giro… Marina, forse perché deve restare immobile con la parte inferiore del corpo, si agita con quella superiore e, siccome il vestito non è elastico, il seno le emerge dai limiti già stretti del tubino. Ovvio che Rocco debba essere sovente richiamato dai giocatori a seguire il gioco…
Avviene poi che il mazzo, posto inizialmente sopra un ginocchio, scenda lungo l’arco del vestito e qualcuno debba risistemarlo; inoltre il cumulo delle carte scartate piano piano, ma inesorabilmente, cade nell’incavo delle cosce, laddove sarebbe meglio non rovistare.
I giocatori iniziano bluff e controbluff, tranne i due che continuano una lotta personale, contraria alla missione del gioco, a chi riesce a racimolare più carte. Il fratellino vorrebbe anche contare le carte rimaste per una classifica generale, ma per fortuna gli altri lo convincono a contare solo le singole vittorie.
Ad un certo punto ognuno dei giocatori ha avuto il suo momento di gloria, tranne Rocco sabotato con tutte le armi da Marina. Molte volte ha urlato “Una”, subito corretto dal fratellino “Uno, si dice Uno, come il gioco…”. Il fatto è che Rocco, da qualche settimana, ha in testa un chiodo fisso: Una che non ne vuole sapere di lui e lui, da vecchio cacciatore incallito, non riesce ad accettarlo. Gli frulla pure per la mente la canzone di Battisti, appunto “Una”, che gli pare descrivere così bene quella sua situazione. È facile allora comprendere come sia più facile per Rocco gridare “Una” piuttosto che “Uno”, anche per farsi poi sogguardare maliziosa da Marina “Una?!” al ché il macho s’intenerisce ed improvvisa una teoria, degna del vetturino della carrozza n.2, per cui il genere femminile è da riferirsi alla carta e non eventualmente ad altro.
Alfine, per una congiunzione favorevole degli astri, Rocco riesce a guadagnare proprio l'ultimo giro, dopo avere sommerso Marina sotto una mole di carte che non riesce neppure a tenere tutte in mano. “La prima è dei bambini… si dice dalle nostre parti” gongola Rocco, ma lei non raccoglie e già cambia discorso: “sta sera è la notte di San Lorenzo! Guardiamo se cadono le stelle…”; ma il treno è lanciato verso il sud e trema tutto come un vecchio febbricitante: non è il caso di scombinarsi l’acconciatura, deve aver pensato la vamp, che allora esce nel corridoio.
Rocco al richiamo delle stelle cadenti ha avuto un attimo di mancamento, tanto è bastato per farsi sfuggire l’occasione; gli altri viaggiatori hanno già ripreso con la briscola e insistono perché partecipi pure lui. A Rocco sono sempre piaciuti altri giochi… sostiene che non è capace di giocare a briscola, ma non gli crede neppure Alfio, che ha proprio l’aria di credere ancora alle favole.
Si creano le coppie Alfio-Rocco e Marco-Michele, dopo che Marco aveva tentato inutilmente, chissà perché, di mettersi in coppia con Rocco, mentre Francesca segue distrattamente il gioco.
Alfio propone una modifica per animare la sfida: s’arriva ai 120 anziché ai 60 punti, come sembra s’usi nell’isola. L’innovazione non cambia le carte in tavola e i due matusa perdono dai due pischerelli anche la rivincita. Intanto dal corridoio arriva la voce acuta di Marina che evidentemente è impegnata in un dibattito, poiché le voci da basso o da baritono s’infrangono contro lo sferragliamento del convoglio e solo quella da soprano emerge imperiosa sulla dodecafonia di fondo. I giocatori, impegnati nella disputa generazionale, non prestano attenzione al discorso, Francesca invece si. “Ma senti… che segno sta prendendo il discorso!” dice accostando l’orecchio al vetro. Allora anche gli altri stanno in campana, ma arrivano solo parole staccate: omosessualità, lesbiche, bellezza maschile e bellezza femminile, ecc.
“È mia sorella…” sbuffa Marco con rassegnazione.
“Cosa stanno dicendo?” chiede curioso Rocco a Francesca.
“Stanno raccogliendo una collezione di luoghi comuni… in treno si deve pure passare il tempo” filosofeggia la biondina.
“Però che grinta!” sbotta Alfio, accompagnando l’esclamazione con un’espressione divertita.
“Dai giochiamo” insiste Michele.
Ma i due pirla hanno quasi raggiunto la meta nella prima mance e non c’è più storia…
Ad Alfio squilla una musichetta disco anni settanta da qualche angolo riposto e sudaticcio. “Si, ciao. Sono ancora a Firenze, eh sai il ferragosto, un gran casino, ma mi sono sistemato bene… Come? Nooo… è solo che ho trovato un posto in cuccetta, così arrivo riposato. Quando… ma non lo so, siamo ancora fermi qua, ma certo a Firenze! Te l’ho detto, tutti gli orari sono saltati. Dai ci sentiamo eh? Ciao”
I pischerelli fanno due palle d’occhi da cartoni giapponesi, controllano per sicurezza fuori dal finestrino, mentre Rocco e Francesca sono ancora sintonizzati sulla lirica. Alfio si sente in dovere di giustificarsi: “è mia moglie… dico così per non tenerla in pensiero… chi lo sa quando arriveremo? non dovevo partire… ho deciso all’ultimo momento perché è saltata una consegna in Valtellina, allora sapete è su di giri… non scendo da pasqua”.
“Aah…” sospira Marco rassicurato.
Intanto nel corridoio s’è passati alla pornografia, al sesso multiplo, al femminismo e al maschilismo. Francesca, che è sempre più nervosa e sorride a tutti quanti come una hostess di linea, irrompe: “adesso esco e chiedo cosa ne pensano del sesso con gli animali… Voglio proprio vedere!” e così dicendo fa scorrere la porta. Gli oratori sono seduti in riga sul pavimento con la schiena contro la parete divisoria del corridoio e i piedi piegati, per mancanza di spazio, contro il bordo esterno della carrozza; i maschi possono sedersi come i pellerossa, le femmine, ma si vede solo la sagoma bianco-grigio-fiorata, dunque Marina si tiene le caviglie con le mani e appoggia ogni tanto il mento alle ginocchia, quasi a sottolineare la volontà di passare finalmente la parola.
Francesca lascia perdere gli animali e viene pure lei risucchiata nella conversazione, che ormai pare tra vecchi conoscenti che si scambiano il fumo e le caramelle, si blandiscono cercando di smussare le loro posizioni inizialmente perentorie e insomma… cercano di passare il tempo.
Rocco vorrebbe portare la discussione sul sado-maso, ma non fuma e ormai non c’è neppure un centimetroquadro per posare i piedi nel corridoio, però una caramella…
Ecco che torna il vetturino. Allarme rosso! Tutti sull’attenti e, interrotta ogni attività, restano col fiato sospeso. L’uomo entra nelle cabine ed abbassa bruscamente i lettini superiori. “Di già!” esclama deluso Marco. “Eh giovane… è pure tardi è pure… avrei già dovuto farlo un’ora fa, ma insomma sono solo per due carrozze, che il collega della carrozza n.1, cioè questa, è in ferie, e faccio quello che posso faccio”. Passata la burrasca si cerca di riprendere la vita normale, ma tutto è stato rimescolato e ognuno viene distratto da nuovi spunti e pretesti. Rocco abbassa il finestrino per prendere un po’ d’aria ferruginosa, il treno rallenta tanto che si riesce a leggere su un cartello blu una scritta bianca dentro una specie di cartiglio, pure bianco, “Bagnoli” e questo basta per portare i suoi pensieri indietro di pochi mesi, in novembre, quando ha visitato questi posti: Napoli, Ercolano, Pompei, Ischia, Capri, Nisida, Bagnoli. Alla faccia dei luoghi comuni Napoli pareva Londra, tempo variabile, pioggia leggera e insistente o forte e intermittente: grandi affari per gli ombrellai.
Nella galleria di Napoli Centrale infila la testa nel finestrino anche Michele, nonostante le realistiche difficoltà dovute ai lettini abbassati. Il ragazzo è in vena di confidenze e dice che vuole vedere la stazione perché dovrà tornare qua a settembre a trovare la sua ragazza; c’è già stato una volta, ma i matusa di lei non vedono bene questa relazione e allora non ha combinato granché. Rocco cade dalle nuvole: “e Marina?” pensa. Poi però non dice nulla, limitandosi a chiedere, distratto, notizie su quell’infelice amore. Quando il treno riprende la corsa, tirano su il vetro e dentro volano sacchetti di plastica con dentro lenzuola e federe di carta e rimbalzano cuscini di gommapiuma.
“Uno a testa, uno a testa… sono esatti, mi raccomando!” scandisce il ferroviere. In quel momento uno dei ragazzi del corridoio cerca di fare una domanda al vetturino, ma questo lo blocca affermando che per chi non ha la cuccetta, niente lenzuola e cuscini naturalmente… anzi non sarebbe neppure consentito occupare i corridoi, che questi servono per chi lavora e per muoversi… ma in fin dei conti non può pensare a tutto lui, altrimenti avrebbe da un pezzo scaglionato le ferie a tutti.
“D’accordo, però io volevo sapere quando è previsto l’arrivo a Messina…” protesta il ragazzo. “Non glielo posso dire, portiamo ritardo… una cosa del genere non si può sapere”.
“Ma all’incirca… quando era previsto l’arrivo? se portiamo un’ora di ritardo, allora arriveremo un’ora dopo…” insiste il fusto in t-shirt.
Il ferroviere, guardando di sfuggita l’orologio da polso, replica: “Portiamo 38 minuti di ritardo per l’esattezza e da qui a Messina potremmo accumularne altri, speriamo di no ma non posso saperlo adesso, potremmo recuperarli tutti o in parte, dipende… e poi tenga presente che dobbiamo imbarcarci sul traghetto…”.
“Dunque se ad esempio dovevamo arrivare alle 6, l’arrivo previsto sarà per le 6 e 38?” prova a trattare il giovane.
“Nooo, allora non ci siamo… evidentemente non mi sono spiegato: è impossibile stabilire l’orario d’arrivo una volta che il convoglio ha accumulato ritardo, perché sono molti e variabili i fattori che…”.
“Beh ho capito, buonanotte” tronca scocciato il senza-cuccetta che se ne torna in corsia. Il vetturino che, forse per darsi un contegno durante il colloquio, s’è messo a sistemare i cuscini e a contare le buste, si guarda intorno sconfortato e cerca nei volti dei passeggeri qualcuno disposto a seguire il suo ragionamento: “Santa pace! Ma non posso dire quello che non so, quello che non si può sapere… vorreste che vi dicessi un orario qualunque, bene, ma poi se perdete la coincidenza? Ci sono è… ci sono quelli che dicono quello che la gente vuole sentirsi dire, ma questo non è corretto, no non è professionalmente corretto”.
Il sorriso di Marco, che comunque è rimasto serio a tenere compagnia al soliloquio del perfetto ferroviere, una volta che il tribuno se n’è andato è disarmante ed è sufficiente per far tornare il buonumore alla compagnia.
Marina è ancora impegnata negli avanzi di una discussione con un paio di boys che le muoiono dietro. Ma lei è decisissima a difendere le sue opinioni fino in fondo, dimenticando magari di salvare qualcos’altro. Sostiene, con grande padronanza di linguaggio, che le femmine si farebbero meno problemi ad ammettere una relazione omosessuale o solo ad ammettere la bellezza di un’altra donna, di quanto invece non accadrebbe per i maschi, i quali addirittura, per paura di passare per omo, non si pronunciano mai sulla bellezza maschile.
“Ma quando mai! Certo capisco che Raoul Bova, faccio un esempio, possa piacere ad una ragazza, ma non mi passa manco pe a capa di dire che è un bel maschio; non riesco a vederlo come oggetto di desiderio, macché paura di sembrare gay… ti sembro il tipo?” conclude improvvisamente il sermone uno dei due cascamorti.
“Ma insomma pure io quando sfoglio una rivista di moda e vedo una bella donna, dico ma che bella donna! E con questo non provo alcun desiderio sessuale… che vuol dire?” spiega la ragazza con ampi gesti delle mani.
“E quando sfogli una rivista sexy?” forza quello in canotta, condendo il tutto con occhioni dolci.
“E buonanotte…” sbuffa finalmente Marina. Il dibattito è finito. Marina sarà pure ingenua, ma decide lei i tempi e i modi. Rientra nello scompartimento 7 e si siede al suo posto, che poi non si sa quale sia ed è meglio non chiedere al ferroviere. Nessuno della compagnia azzarda proseguire la discussione, tranne Rocco che prova: “non sono d’accordo con te, almeno fino ad un certo punto…”. “Un certo punto?” rovescia curiosa la domanda nell’aria, stirando leggermente le labbra.
“Per quello che riguarda gli uomini, posso anche essere d’accordo, ma non credo che sia diverso per le donne: credo che sia tuttora più difficile dichiararsi apertamente lesbiche che gay, i condizionamenti culturali e sociali sono troppo forti, perché la libertà sessuale della donna è ancora troppo recente…” prosegue Rocco.
A Marina torna voglia di parlare, mentre Rocco si pente di averla buttata sul complicato; lei sostiene la sua tesi con un diluvio di parole e lui ben presto perde il filo del discorso, distratto dalla prossimità di quella grazia, che mostra pure d’essere intelligente. Rara combinazione!
Ormai l’omosessualità è solo uno scudo per dare spazio, se non proprio all’eterosessualità, ad una conoscenza più intima. Rocco scopre che Marina ha ventitre anni e sta studiando legge, è vicina alla tesi e vorrebbe specializzarsi nel penale. Marina riesce ad estorcere a Rocco solo vaghe informazioni sulla sua vita: lavora in un ufficio pubblico, ha quarant’anni, è single e gli piace viaggiare. Ah viaggiare… lui è diretto a Pachino, lei a Licata, ma scende pure lei a Catania, ché le ferrovie siciliane sono un pianto ed è meglio proseguire in bus. A Licata c’è il padre che ha la seconda casa dove trascorre da anni le vacanze estive. Marco cerca di descrivere le attrattive che l’aspettano a Licata e invita Rocco ad andarli a trovare, se passerà da quelle parti. Nessuno perdona a Rocco di essere per la prima volta sull’isola ed andare a sistemarsi a Pachino, va bene gli amici… ma insomma la Sicilia va vista perbene, perché è ricca e varia. Poi forse si trasferiranno sull’Etna, cerca di difendersi Rocco. “Taormina” grida Marco. “Milo” risponde dubbioso Rocco “vorrei salire in vetta se possibile… avete notizie sull’ultima eruzione?”. “Domattina ci passiamo davanti e vedremo…” risponde evasiva Marina. Rocco non riesce a promettere niente; del resto non è arrivato da lei l’invito. Alfio sta per intervenire, quando si sente ancora la musichetta impertinente provenire da arcani anfratti.
“Ciao, si, si, e dove se no! Mah… dunque si, siamo ancora a Roma, stanno attaccando altre carrozze…” sostiene il siculo-piemontese, cercando di non guardare la faccia di Marco per non rovinare la parte; “tutto bene si… si, si ho mangiato, pure la torta… come? M’è stata offerta dai ragazzi… certo viaggiano nella stessa cabina. Come? …no cosa dici… è una cabina maschile…”. Marco si deve mettere una mano in bocca per non ridere e Alfio deve voltarsi verso il corridoio per proseguire la conversazione: “Quando… ma non lo so, siamo ancora fermi qua, ma certo alla Tiburtina! Tutti gli orari sono saltati, pure il controllore dice che non si può dire quando s’arriverà. Dai ci sentiamo eh? Ciao”.
È quasi mezzanotte, il corridoio è buio da tempo, dalle altre cabine tutto tace, ma nessuno nella cabina 7 ha voglia di distendersi sulle assi da stiro, stirare le lenzuola di carta e riposare nel proprio loculo. Affacciati ai finestrini del corridoio i nottambuli cercano refrigerio, dopo una giornata afosa; vedono sfrecciare il golfo partenopeo inanellato da scie luminose fino a Sorrento, poi il buio quasi totale; l’aria profuma di mare e di mondezza, tuttavia scaccia dai polmoni l’invadente odore di ferrovia.

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